giovedì 29 settembre 2016

Ritratto di signora (The Portrait of a Lady, 1996) di Jane Campion

Sul finire dell’800 la giovane americana Isabel Archer approda in Inghilterra dove eredita un ingente patrimonio dallo zio defunto. Corteggiata da tutti, la donna, avida di esperienze e di libertà, rifiuta ogni proposta amorosa e decide di partire per l’Italia, provocando uno scandalo in famiglia. Giunta a Firenze cade nella rete di Gilbert Osmond, intellettuale snob dai modi raffinati che mira al suo denaro. Tratto dal romanzo omonimo di Henry James, questo aspro melodramma in chiaroscuro della Campion è un denso ed elegante affresco della condizione femminile nel XIX secolo, in cui i punti cardine come infelicità, discriminazione, emancipazione e ricerca di una propria indipendenza al di là della figura maschile, guardano anche all’oggi. Maestoso nella ricostruzione storico ambientale, esteticamente sontuoso nella splendida fotografia ovattata e nell’uso “pittorico” delle luci, splendidamente recitato da un cast straordinario (Nicole Kidman, John Malkovich, Barbara Hershey, Shelley Winters, Martin Donovan, Mary-Louise Parker, Viggo Mortensen), questo possente ritratto di lussuosa opulenza e di silente disperazione è stato uno dei film più sottovalutati degli anni ’90. Probabilmente a causa dell’approccio irrequieto e spregiudicato della talentuosa regista neozelandese, che qui ci regala un nuovo intenso universo femminile senza mai rinunciare all’estro dei suoi tocchi bizzarri, pur in una messa in scena di stampo rigidamente classico. E’ d’obbligo citare, in tal senso, la sequenza in cui la protagonista immagina un rapporto sessuale con ciascuno dei suoi tre pretendenti o il suo “Grand Tour” europeo sintetizzato con lo stile delle vecchie comiche. Il finale aperto, che lasciò perplessi la maggior parte dei critici, è un’altra pennellata di gran classe, all’insegna di una fertile ambiguità. Da rivalutare.

Voto:
voto: 4/5

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