giovedì 16 marzo 2017

Gran Torino (Gran Torino, 2008) di Clint Eastwood

“Walt” Kowalski è un ottantenne di origine polacca reduce della guerra di Corea, ex operaio della Ford in pensione, rimasto da poco vedovo dell’amata moglie. “Walt” è un uomo burbero, astioso verso il mondo, cattolico ma pieno di dubbi sulla fede, patriota e razzista, insofferente rispetto alla realtà multietnica del quartiere popolare in cui vive. Malato ai polmoni e ostile anche verso i suoi due figli, che vorrebbero metterlo in una casa di riposo e che sembrano più interessati alla sua eredità che alla sua persona, “Walt” ha solo due interessi positivi: la passione per la sua vecchia auto (una Ford Gran Torino del 1972 che conserva come un gioiello) ed il rapporto goliardico, basato su un affettuoso turpiloquio, con il barbiere del quartiere, amico di una vita. L’incontro casuale con il giovane Thao, asiatico di etnia Hmong vessato da un gruppo di bulli vietnamiti, e con la sua premurosa famiglia, aprirà una breccia nella scorza dura di “Walt”, risvegliando il suo puro ideale di indignazione contro le ingiustizie commesse dagli arroganti a danno dei più deboli. L’opus n. 31 di Eastwood regista è un piccolo grande film, intimo e denso, di complessa stratificazione, di classica trasparenza e di legittima saldezza morale. Garbato e complesso alla maniera del regista è un felice compendio di temi importanti, forse troppi per un film solo: la vecchiaia, il razzismo, la fede, il bullismo, la morte, la violenza urbana, la difficile integrazione reciproca in un contesto multirazziale. Con la consueta lievezza del tocco e classicità dello stile, senza però mai perdere in densità narrativa e spessore tematico, l’autore fa coesistere abilmente tragedia e ironia, odio e amore, asocialità e rigore etico, brutalità e tenerezza,  passatismo e fiducia nel domani, condanna della violenza e necessità di ricorrere ad essa. Nel cast, oltre a Clint Eastwood nel ruolo del granitico protagonista, segnaliamo Bee Vang, Ahney Her e John Carroll Lynch. Attraversato da un’ombra funerea per tutta la sua durata, questo film importante e necessario ci commuove senza mai risultare patetico e ci accompagna, con sommessa fierezza, verso l’unico finale possibile, che si erge come una sorta di nostalgico commiato. Il commiato di Eastwood attore dalla sua stessa leggenda di duro cinematografico per antonomasia. Non c’è dubbio che il personaggio di Kowalski (emblematico già dal nome che rimanda a Tennessee Williams) sia il simbolo ed il sunto di tutti i duri interpretati da Eastwood sul grande schermo e che la sua parabola di formazione e redenzione sia il malinconico addio del grande regista-attore (non privo di pungente autoironia) ad un certo tipo di antieroi che hanno caratterizzato il suo passato. Ma quando il vecchio leone Clint imbraccia il fucile e digrigna “vattene dal mio prato!” al giovane bullo vietnamita, un brivido antico ci percorre la schiena e il tempo sembra davvero essersi fermato per un istante.

Voto:
voto: 4/5

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