mercoledì 29 marzo 2017

Rosso sangue (Mauvais sang, 1986) di Leos Carax

Il passaggio di una cometa su Parigi provoca strani eventi climatici e la diffusione di un virus detto STBO che colpisce tutti coloro che fanno sesso senza amore. Una coppia di delinquenti in cattive acque, Marc e Hans, decidono di rubare da un laboratorio segreto l’antidoto contro il virus STBO, sperando così di poter racimolare l’ingente somma di denaro che devono a una gang rivale. Per fare il colpo ingaggiano il giovane Alex, abile prestigiatore appena uscito di galera e figlio di un loro socio morto in circostanze misteriose. Alex perde la testa per Anna, la donna di Marc, che però sembra attratta solo da uomini più maturi di lei. Ma i criminali interessati all’antidoto sono parecchi e il furto si rivelerà più pericoloso del previsto. Thriller fantastico posseduto da un’estetica poderosa e viscerale, propria del geniale regista di Suresnes, cinefilo eccentrico ed enfant terrible del nuovo cinema francese, diviso tra la nostalgia per la Nouvelle Vague e la contaminazione di nuove forme espressive (fumetti, videoclip, videogiochi). Il cinema di Carax è pregiato, inquieto e favolistico, fatto di anime perse, amori estremi, poesia e miseria, realtà e sogno, erotismo e adrenalina, pathos e malinconia. E non fa eccezione questa sua sfavillante opera seconda, capolavoro anarchico dall’anima naif che rielabora la potenzialità delle immagini oscillando tra classico e moderno, un film pervaso da un’energia furiosa, da un romanticismo disperato, da un estro creativo vertiginoso costantemente combattuto tra feticismo della forma e astrazione poetica. Eletta immediatamente come pellicola di assoluto culto dai giovani cinefili europei, è un’opera spiazzante e affascinante, un’odissea apocalittica ambientata in una Parigi abulica e girata quasi tutta in interni, per conseguire la trasfigurazione poetica della realtà da cui l’autore volutamente si distacca, per dar vita ad un’affresco antirealistico che sceglie la via di un frenetico fantastico sociale, ignorando i fermenti politici che infiammavano la Francia al tempo della sua uscita (le manifestazioni studentesche contro la legge Devaquet sulla riforma al sistema universitario). Non mancano comunque le connessioni al reale (il virus STBO è un’ovvia metafora dell’AIDS) e le citazioni colte: molte sequenze sono veri e propri “altari” eretti dell’autore ai suoi miti cinefili (Cocteau, Godard, Chaplin, Griffith), in osservanza della sua idea di cinema come “religione” dei miti, dei sensi e dei desideri, e come atto estremo di fusione tra arte e vita. Rendendo asincroni il montaggio e la narrazione Carax riempie il film di un dinamismo impellente che si compiace nei personaggi fragili e nevrotici, icone nostalgiche di una cifra stilistica che s’inchina al culto dell’immagine. Assolutamente memorabile la sequenza della corsa finale di Alex (interpretato da Denis Lavant, attore feticcio del regista) sulle note di “Modern love” di David Bowie, che arricchisce la colonna sonora e si erge come manifesto musicale del cinema dell’autore. Completano il magnifico cast Michel Piccoli, Juliette Binoche, Hans Meyer, Julie Delpy e c’è persino un gustoso cameo del disegnatore Hugo Pratt, “padre” di Corto Maltese. Una caratteristica comune a tutti i film di Leos Carax è che sono girati come se non ci fosse un domani e, non a caso, sembrano evocare un'apocalisse, figurativa più che sostanziale. E Rosso sangue, acerbo e rivoluzionario gioiello degli anni ‘80, ha dato il via a questo brillante processo artistico di ammirevole coerenza, che ha poi trovato il suo pieno compimento nell’ultimo esplosivo capolavoro del regista, Holy Motors.

Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento