giovedì 30 marzo 2017

L’isola (Seom, 2000) di Kim Ki-duk

Un’isola. Un lago pieno di case galleggianti. Qui vive Hee-Jin, barcaiola di giorno e prostituta di notte. Qui arriva Hyn-Shik, ex poliziotto in fuga da un crimine passionale e con intenzioni suicide. I due s’incontrano e si amano di un amore intenso e disperato, creando un legame di bollente ardore e di mutua dipendenza psicologica. E niente sarà più lo stesso. Inquietante trattato di psicopatologia amorosa, carico di malia oscura e di potenti simbolismi, diretto con aspra crudezza da Kim Ki-duk. E’ impressionante il contrasto tra le atmosfere lente, liquide, avvolgenti, suggerite dalle particolari ambientazioni acquatiche, e la violenza disturbante di alcune scene che metteranno a dura prova gli spettatori dallo stomaco debole. Enigmatico e duro, questa metafora amara della solitudine esistenziale riporta la relazione uomo-donna a uno stato primordiale, denso di istintualità feroci e di indulgenze sadiche, con l’atto sessuale che diventa un ultimo solenne gesto con cui trovare rifugio nel corpo dell’altro. La scarnificazione narrativa è compensata dalla potenza delle immagini, che si alternano ora evocative ora scioccanti, con i dialoghi ridotti al minimo per suggerire il concetto di vacuità della parola in un mondo annichilito dal malessere interiore. Le suggestioni che attingono al patrimonio del mito si condensano nel flusso del racconto attraverso un andamento ciclico fondato sulle contrapposizioni: amore e morte, dominio e sottomissione, tenerezza e brutalità. Aspro e puro nella sua severa crudeltà (che però non è mai gratuita perché finalizzata alla sublimazione metaforica), è un film ostico e austero, stilisticamente sontuoso e pervaso da tetra bellezza. Un film che difficilmente potrà essere apprezzato dal pubblico poco avvezzo ai ritmi (e agli eccessi) di un certo cinema orientale.

Voto:
voto: 4/5

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