sabato 4 marzo 2017

Lion - La strada verso casa (Lion, 2016) di Garth Davis

Saroo è un bambino indiano di cinque anni, costretto ad aiutare il fratello maggiore Guddu nei tanti lavoretti quotidiani per sostenere il mantenimento della poverissima famiglia. Un giorno, per seguire il fratello che deve trasportare delle balle di fieno, finisce sul treno sbagliato e si ritrova improvvisamente, solo e disperso, nella tentacolare metropoli bengalese Calcutta, a 1600 km. da casa. Incapace di spiegare chiaramente da dove provenga, il piccolo vive per strada, fa incontri pericolosi, finisce in un orfanotrofio e viene infine adottato da un’amorevole coppia australiana, i Brierley, che gli regalano una nuova vita in un nuovo mondo. Diventato adulto Saroo è uno studente modello, adora i suoi genitori, ha un rapporto difficile con lo scapestrato fratello adottivo e vive un’intensa storia d’amore con la bella Lucy. Ma qualcosa nel profondo adombra il suo animo e un’immagine cara che riemerge dalle nebbie del passato lo spinge prepotentemente in una pressante ossessione: ritrovare le sue radici, la sua vecchia casa e la sua famiglia perduta. Toccante dramma familiare basato sul libro di memorie “La lunga strada per tornare a casa”, scritto dal vero Saroo Brierley, in cui ha raccontato la sua incredibile esperienza di vita. Non era per niente facile adattare una storia del genere, ad altissimo contenuto emotivo, evitando le trappole del sentimentalismo patetico e della retorica edificante, che sono sempre in agguato in pellicole di questo tipo. Il regista australiano Garth Davis ci riesce in buona parte, grazie alla prima metà del film (quella dell’infanzia di Saroo), che è notevole per la straordinaria capacità espressiva del piccolo Sunny Pawar, che con i suoi occhi profondi buca lo schermo e dà forma pregnante ad un dramma terribile, inaccettabile nel mondo occidentale, ma che, purtroppo, è quasi abituale in India (come ci ricordano i titoli di coda). L’allucinata sequenza nel fatiscente sottopasso della stazione di Calcutta, con gli sguardi tra Saroo e l’altro piccolo bambino che dorme sui cartoni, vale più di mille dialoghi e basta, già da sola, a giustificare il prezzo del biglietto. Peccato che, nella seconda parte dell’opera, l’estrema dilatazione delle emozioni porti a una certa confusione, con l’addensarsi di più linee narrative che non vengono adeguatamente approfondite e che lasciano trasparire una certa lacunosità nella sceneggiatura. Si pensi alla storia d’amore tra Saroo e Lucy (francamente poco utile) o al contrastato rapporto con il fratello adottivo Mantosh, problematico e molto diverso da lui, che poteva essere sfruttato meglio per evitare la banalizzazione dell’adozione come “isola” felice. Il finale a lungo atteso è d’indubbia potenza emotiva e regala una sincera commozione, ma non potrebbe essere altrimenti. Nel buon cast, oltre al già citato Sunny Pawar, spiccano Dev Patel e Nicole Kidman (che finalmente riesce a ritagliarsi di nuovo un ruolo convincente degno delle sue interpretazioni del passato), mentre la solitamente brillante Rooney Mara appare un po’ spaesata in un ruolo di contorno puramente decorativo. La pellicola ha avuto ben sei candidature agli Oscar 2017 (film, Kidman, Patel, sceneggiatura, fotografia, colonna sonora) ma è rimasta senza premi. Ovviamente è imperdibile per gli amanti dei melodrammi familiari ad alto tasso di lacrime.

Voto:
voto: 3,5/5

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