Boston,
1926, durante il Proibizionismo: Joe Coughlin è un fuorilegge di origine
irlandese che ha rinnegato la rigida educazione del padre poliziotto per darsi
alle rapine, alle belle donne, ai soldi facili e alla vita notturna.
Inammoratosi della bella pupa del boss Albert White, con cui vive una focosa
relazione clandestina, il nostro finisce in un pericoloso “gioco” ben più
grande di lui e, per salvare la pelle, si allea con il potente mafioso Maso
Pescatore, acerrimo rivale di White nel business della vendita illegale di
alcolici, che lo spedisce in Florida per eliminare il suo nemico. Qui Coughlin
rivela un insospettabile talento per gli affari criminosi e dà inizio a una
vertiginosa scalata al potere nel mondo della mala, diventando un temuto boss
locale ma facendosi anche parecchi nemici, tra cui i fanatici razzisti del Ku
Klux Klan, ostili alla sua relazione con una donna di colore cubana. Per
difendere la sua vita e la sua autorità, Coughlin dovrà diventare un gangster
spietato, disposto a rischiare il prezzo più alto. Noir gangsteristico a metà
strada tra il dramma criminale e il romanzo sentimentale, tratto dall’omonimo
romanzo di Dennis Lehane, che compare anche tra i produttori della pellicola.
Opus numero quattro di Ben Affleck regista, è il suo film più imponente e
ambizioso, ma anche il suo peggiore perché, se lo stile formale è di pregevole
fattura (specialmente nelle sequenze d’azione dirette con aspro dinamismo), il
contenuto difetta in originalità e manca completamente di afflato epico, anche
senza scomodare i nobili predecessori del genere (da Coppola a Scorsese, da
Leone a De Palma, passando per Michael Mann). Ed è proprio al Mann di Public Enemies che Affleck sembra
puntare come maggior riferimento ispirativo, senza però possedere nè l’estro
creativo, nè il rigore estetico, né il talento visionario del regista di Chicago.
L’autore ritorna alla sua amata Boston e ci immerge in un sottobosco di rapace
brutalità e di patinato glamour, tra bevute illegali, cruente esecuzioni,
uomini in Borsalino, donne sciccose, locali fumosi, feste raffinate, bottiglie
di champagne, alcool e piombo a fiumi. La ricostruzione storico ambientale è
eccellente, ma il film pecca di scarsa personalità e si risolve in un
“polpettone” incerto e scialbo, con dialoghi scontati e personaggi
monodimensionali, riuscendo a cogliere solo fugaci barlumi dello spirito
dell’epoca. Il difetto maggiore risiede proprio nel personaggio protagonista di
Joe Coughlin, interpretato da Affleck in maniera ancor più legnosa rispetto ai
suoi scadenti standard recitativi. Una sorta di antieroe romantico,
un’affascinante carogna, un bandito dal cuore tenero che uccide a sangue freddo
i suoi rivali ma poi si perde negli occhi di una bella donna, sussurrandole
all’orecchio parole sdolcinate mentre stringe in mano una pistola per guardarsi
le spalle. I limiti di Affleck attore e l’estrema banalità del suo personaggio
danno il colpo di grazia ad un’opera lunga e confusa, che anela invano al magistero
del cinema classico senza mai riuscire nemmeno lontanamente a sfiorarlo. I
momenti migliori del film sono le furiose sparatorie ed i convulsi inseguimenti,
in cui l’autore conferma di trovarsi a suo agio. Il cast importante che
annovera, oltre al già citato protagonista Affleck, Elle Fanning, Brendan
Gleeson, Sienna Miller, Zoe Saldana, Chris Cooper, Robert Glenister ed il
nostro Remo Girone (che ritorna al ruolo di boss mafioso dopo i fortunati
trascorsi televisivi ne “La Piovra”), non rende al meglio delle sue
possibilità, quasi conformandosi al tono dimesso della pellicola.
L’indiscutibile passo falso del regista di Berkeley ha messo d’accordo tutti,
critici e pubblico, facendo segnare un clamoroso flop al botteghino. Sarebbe
forse il caso, per Affleck senior, di
abbassare il tiro, rivolgersi a storie più attinenti alle sue corde e,
finalmente, rinunciare alla sua ingombrante presenza come immancabile protagonista.
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