venerdì 10 marzo 2017

La legge della notte (Live by Night, 2016) di Ben Affleck

Boston, 1926, durante il Proibizionismo: Joe Coughlin è un fuorilegge di origine irlandese che ha rinnegato la rigida educazione del padre poliziotto per darsi alle rapine, alle belle donne, ai soldi facili e alla vita notturna. Inammoratosi della bella pupa del boss Albert White, con cui vive una focosa relazione clandestina, il nostro finisce in un pericoloso “gioco” ben più grande di lui e, per salvare la pelle, si allea con il potente mafioso Maso Pescatore, acerrimo rivale di White nel business della vendita illegale di alcolici, che lo spedisce in Florida per eliminare il suo nemico. Qui Coughlin rivela un insospettabile talento per gli affari criminosi e dà inizio a una vertiginosa scalata al potere nel mondo della mala, diventando un temuto boss locale ma facendosi anche parecchi nemici, tra cui i fanatici razzisti del Ku Klux Klan, ostili alla sua relazione con una donna di colore cubana. Per difendere la sua vita e la sua autorità, Coughlin dovrà diventare un gangster spietato, disposto a rischiare il prezzo più alto. Noir gangsteristico a metà strada tra il dramma criminale e il romanzo sentimentale, tratto dall’omonimo romanzo di Dennis Lehane, che compare anche tra i produttori della pellicola. Opus numero quattro di Ben Affleck regista, è il suo film più imponente e ambizioso, ma anche il suo peggiore perché, se lo stile formale è di pregevole fattura (specialmente nelle sequenze d’azione dirette con aspro dinamismo), il contenuto difetta in originalità e manca completamente di afflato epico, anche senza scomodare i nobili predecessori del genere (da Coppola a Scorsese, da Leone a De Palma, passando per Michael Mann). Ed è proprio al Mann di Public Enemies che Affleck sembra puntare come maggior riferimento ispirativo, senza però possedere nè l’estro creativo, nè il rigore estetico, né il talento visionario del regista di Chicago. L’autore ritorna alla sua amata Boston e ci immerge in un sottobosco di rapace brutalità e di patinato glamour, tra bevute illegali, cruente esecuzioni, uomini in Borsalino, donne sciccose, locali fumosi, feste raffinate, bottiglie di champagne, alcool e piombo a fiumi. La ricostruzione storico ambientale è eccellente, ma il film pecca di scarsa personalità e si risolve in un “polpettone” incerto e scialbo, con dialoghi scontati e personaggi monodimensionali, riuscendo a cogliere solo fugaci barlumi dello spirito dell’epoca. Il difetto maggiore risiede proprio nel personaggio protagonista di Joe Coughlin, interpretato da Affleck in maniera ancor più legnosa rispetto ai suoi scadenti standard recitativi. Una sorta di antieroe romantico, un’affascinante carogna, un bandito dal cuore tenero che uccide a sangue freddo i suoi rivali ma poi si perde negli occhi di una bella donna, sussurrandole all’orecchio parole sdolcinate mentre stringe in mano una pistola per guardarsi le spalle. I limiti di Affleck attore e l’estrema banalità del suo personaggio danno il colpo di grazia ad un’opera lunga e confusa, che anela invano al magistero del cinema classico senza mai riuscire nemmeno lontanamente a sfiorarlo. I momenti migliori del film sono le furiose sparatorie ed i convulsi inseguimenti, in cui l’autore conferma di trovarsi a suo agio. Il cast importante che annovera, oltre al già citato protagonista Affleck, Elle Fanning, Brendan Gleeson, Sienna Miller, Zoe Saldana, Chris Cooper, Robert Glenister ed il nostro Remo Girone (che ritorna al ruolo di boss mafioso dopo i fortunati trascorsi televisivi ne “La Piovra”), non rende al meglio delle sue possibilità, quasi conformandosi al tono dimesso della pellicola. L’indiscutibile passo falso del regista di Berkeley ha messo d’accordo tutti, critici e pubblico, facendo segnare un clamoroso flop al botteghino. Sarebbe forse il caso, per  Affleck senior, di abbassare il tiro, rivolgersi a storie più attinenti alle sue corde e, finalmente, rinunciare alla sua ingombrante presenza come immancabile protagonista.

Voto:
voto: 2,5/5

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