mercoledì 1 marzo 2017

Spartacus (Spartacus, 1960) di Stanley Kubrick

Nel 73 a.C. il gladiatore trace Spartaco guida una rivolta di schiavi contro l’esercito di Roma, con l’intento di raggiungere un paese franco in cui ottenere la libertà dal giogo romano. Inizialmente i ribelli vincono le prime battaglie ma, dopo il dietro-front dei pirati arabi, che gli avevano promesso le navi con cui organizzare la fuga, Spartaco decide di attaccare Roma, sfidando le terribili armate di Licinio Crasso. Quinto lungometraggio di Stanley Kubrick, il primo a colori, tratto dall’omonimo romanzo di Howard Fast. Per quanto sia, senza alcun dubbio, il miglior peplum hollywoodiano mai realizzato, è un’opera spuria e atipica nella straordinaria filmografia del grande Maestro americano: una sorta di lavoro su commissione dai molti padri in cui Kubrick non ebbe mai il totale controllo artistico, come invece era solito fare e pretendere. Il film appartiene, innanzi tutto, al formidabile sceneggiatore Dalton Trumbo (costretto a lavorare sotto falso nome per i suoi guai con il maccartismo) e, soprattutto, al produttore/attore Kirk Douglas che volle per sé il ruolo del protagonista (dopo aver perso l’occasione in Ben-Hur in favore di Charlton Heston) e che, inizialmente, avevo scelto Anthony Mann come regista, salvo poi puntare sul giovane Stanley Kubrick con cui aveva già lavorato nel capolavoro bellico Orizzonti di Gloria. Il risultato di tale eterogeneità di ispirazioni è un film imponente e spettacolare ma privo del rigore formale, del genio visionario e della densità concettuale dei grandi capolavori dell’autore. La mano di Kubrick è facilmente riconoscibile nelle straordinarie sequenze di battaglia, visivamente ispirate ad Ėjzenštejn, che ricostruiscono con meticolosa precisione la fenomenale tattica militare delle legioni di Roma. Per girare la scena del memorabile scontro finale il regista utilizzò quasi diecimila comparse e registrò i suoni del clangore di massa in uno stadio affollato da ottantamila spettatori durante una partita di football. Anche nella sapiente direzione del cast stellare (Kirk Douglas, Laurence Olivier, Jean Simmons, Charles Laughton, Peter Ustinov, John Gavin, Tony Curtis) è chiaramente identificabile il tocco kubrickiano. In ogni caso il regista fu alquanto insoddisfatto del film e pensò più volte di sconfessarne la paternità. Probabilmente fu proprio su questo set che egli maturò la definitiva decisione di staccarsi totalmente dalle major hollywoodiane, per realizzare la sua personale ossessione di controllo assoluto sulle opere future. La pellicola riscosse comunque un buon successo di pubblico, anche se non le mancarono schiere di detrattori per il suo tono aspro e la violenza di alcune scene, poco in linea con lo stile consolante dei kolossal storici del tempo. Su sei candidature vinse quattro premi Oscar: Ustinov attore non protagonista, fotografia, scenografie e costumi. Negli anni ’90 ne è uscita una splendida edizione restaurata in home video, con circa quindici minuti di scene aggiuntive, tra cui quella (ritenuta troppo scandalosa per l’epoca) in cui Crasso cerca di sedurre il giovane Antonino.

Voto:
voto: 4/5

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