mercoledì 9 agosto 2023

Il signore delle formiche (2022) di Gianni Amelio

Fiorenzuola d'Arda (Piacenza), anni '50. Aldo Braibanti è un intellettuale, poeta, drammaturgo, ex partigiano, iscritto al PCI e studioso del comportamento sociale delle formiche. In un'antica torre rinascimentale (il Torrione Farnese di Castell'Arquato) il nostro organizza un circolo e laboratorio artistico dove insegna liberamente ai ragazzi del posto, iniziandoli alla cultura e alle arti, per stimolare il loro talento creativo. I giovani accorrono numerosi e vedono in lui una figura di riferimento e una guida, non solo culturale ma anche umana. In particolare il sensibile Ettore stabilisce un legame speciale con il suo maestro, un legame che ben presto diventa di natura sentimentale e sessuale, provocando l'invidia del fratello maggiore Riccardo e lo sconcerto della loro famiglia borghese. Negli anni '60 Aldo ed Ettore vivono insieme in una piccola pensione a Roma, ma la famiglia del giovane interviene con la forza: Aldo viene arrestato con l'accusa di "plagio", mentre Ettore viene internato in un istituto psichiatrico e sottoposto a trattamenti di elettroshock per essere "curato". Il conseguente processo contro Aldo Braibanti, accusato formalmente di plagio ma in realtà di essere omosessuale, diventerà ben presto un caso nazionale, non solo giudiziario ma anche etico e di coscienza, coinvolgendo l'opinione pubblica, giovani dimostranti, partiti politici e figure eminenti dell'intellighenzia italiana. Vigoroso e lucido dramma biografico di Gianni Amelio, che prosegue il suo coerente percorso artistico di autore impegnato nella storia sociale, politica e di costume del nostro paese, dedicandosi stavolta al famigerato "caso Braibanti", un vergognoso momento di puro oscurantismo della recente storia italiana. Oggi tutti conoscono Pier Paolo Pasolini e la sua dolorosa vicenda umana; dopo un passato di persecuzioni pubbliche, gogne mediatiche e "crocifissioni" morali, la figura del grande intellettuale italiano è stata finalmente rivalutata ed è diventata addirittura di moda, un simbolo di libertà e di dissenso, quasi un martire moderno sdoganato dal tempo e tutti fanno a gara nel tessergli le lodi (anche quelli che una volta lo criticavano aspramente accusandolo di "perversione", di "oscenità" e di eversione ideologica). Ma sono davvero in pochi, purtroppo, a conoscere la storia di Braibanti (che indubbiamente ha molti punti in comune con quella di Pasolini) e di cui il regista poeta bolognese fu strenuo difensore e accorato sostenitore negli anni del processo. Già solo per questo motivo il nuovo lungometraggio di Gianni Amelio è importante, necessario e merita assolutamente la visione. Senza mai fare di Braibanti un santo, anzi il film ne evidenzia parimenti i difetti, il carattere spigoloso e certi approcci sessuali di predatoria connotazione, l'opera tratteggia finemente la psicologia dei personaggi principali, mettendone in risalto luci e ombre, e ci regala una fotografia amaramente veritiera dell'Italia di quegli anni: del suo provincialismo meschino, del suo moralismo bigotto, della sua intolleranza verso le diversità, dell'ipocrisia borghese, dell'omofobia eletta a sistema e del perbenistico timore di contraddire le vetuste regole del conformismo imposte dalla Chiesa e dalla politica reazionaria. Questo film indignato e militante non è solo un inno alla tolleranza, alla libertà e alla dignità dell'uomo contro ogni forma di discriminazione, ma anche una complessa questione etica sul concetto di giustizia, nonché un tagliente apologo sull'incrocio tra politica e morale pubblica. La pellicola è ricca di momenti alti e di fini sottigliezze (il parallelo sociale con il mondo delle formiche, la fatidica parola "omosessuale" che viene pronunciata apertamente dopo oltre un'ora, il confronto tra le due madri, l'emblematico cameo di Emma Bonino) e si avvale di un cast di prim'ordine in cui tutti ci offrono interpretazioni di altissimo livello: dal protagonista Luigi Lo Cascio al giornalista liberale di Elio Germano, dall'intensa Sara Serraiocco alla toccante Rita Bosello, ma la vera sorpresa è il giovane esordiente Leonardo Maltese (Ettore Tagliaferri) che risulta, probabilmente, il più convincente del gruppo. Unica pecca (artisticamente giustificabile ma storicamente grave): è appurato dai fatti che il quotidiano "L'Unità", ovvero la voce pubblica ufficiale del PCI a quei tempi, abbia sempre tenuto una posizione favorevole verso Braibanti, sostenendone puntualmente l'innocenza e denunciando l'illegittimità di un processo assurdo e ingiusto, di chiara matrice ideologica, in stile "Santa" Inquisizione. Nel film tutto questo non viene omesso, ma addirittura stravolto al contrario, probabilmente per aumentare il carico della denuncia contro tutti i moralismi di stampo persecutorio e discriminatorio. Ma non ce n'era assolutamente bisogno.

Voto:
voto: 4/5

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