Harakiri è un film di impeccabile forza drammatica e di superiore
maestria registica, orchestrato con grande abilità nel creare una
crescente tensione e nel tenere avvinta l'attenzione dello spettatore,
man mano che la vicenda si sviluppa. I sapienti colpi di scena si
alternano a splendide sequenze che, nella prima parte, privilegiano la
ieratica ritualità dei cerimoniali orientali (con la spietata sequenza
dell'harakiri, dettagliato nella ferocia sacrificale come chiave di
volta del racconto), mentre, nella seconda, prevalgono le scene d'azione
(coreografate in astratte movenze da balletto) fino al furibondo finale
catartico di sangue e di morte. La costruzione del racconto (attraverso
un uso magnifico dei flash back) è fondamentale per la tenuta della
suspense, ma è ammirevole la capacità del regista di servirsene per
rendere più efficace ed eloquente la denunzia dell'ipocrisia dei codici
d'onore (il bushido), della spietata disumanità della retorica
militarista, dell'ottusa applicazione di regole governate dalla mistica
della morte, della falsificazione della realtà in nome di principii
aridamente teorici. Va ancora evidenziata la bellezza formale del film,
espressa attraverso immagini di potente risalto visivo e una strategia
di inquadrature che imprigionano i personaggi all'interno di spazi di
raffinato fascino scenografico. E' una delle vette del cinema orientale
di tutti i tempi, superiore perfino ad alcuni capolavori del più celebre
Kurosawa. La sua dote maggiore risiede nella capacità di fondere
spettacolo affascinante, azione violenta, denuncia civile ed
indignazione morale.
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