Martin Scorsese ritorna trionfalmente a quella ispirazione cinica e
ardita dei suoi film migliori con questa commedia nera rutilante, acida,
sboccata e senza freni. Più che un film sul mondo finanziario, come
alcuni hanno voluto vedere, è un grottesco ritratto antropologico al
vetriolo che rappresenta in modo volutamente superficiale l'elemento
cardine del sogno americano, l'uomo che si fa da sè, spingendolo verso
vette di follia e sregolatezza nichilista allo scopo di sezionarlo, per
mostrarne la debolezza, il lato oscuro, con un lucido intento
iconoclasta. Da sempre il grande regista italo americano, più che alle
problematiche sociali, è interessato all'uomo, baricentro e
motore del suo cinema. Ed è maestro nel raccontare, sempre in forma di
parabola ascesa/caduta, un percorso di vita "straordinario",
costantemente al limite e profondamente amorale. Come in Goodfellas,
di cui questo film ricalca fedelmente la struttura, veniamo catapultati
in un mondo parallelo di personaggi avidi e spietati, che vivono "al
massimo" calpestando tutto e tutti per soddisfare il proprio ego
smodato, dispersendosi nel vizio e finendone travolti. Questo
mirabolante pamphlet del nuovo millennio non intende disegnare in
profondità i personaggi, mira invece a spingere forte sull'acceleratore
dell'eccesso, della satira, della rappresentazione istericamente
sovreccitata di questi "squali" della finanza che sbranano la vita a
grandi morsi, tra fiumi di denaro, lusso sfrenato, sesso e droga. E come
ogni satira che si rispetti anche questa tende all'astrazione, alla
schematizzazione mimetica dei rapporti, con una lucidità ed un controllo
assoluto della materia narrativa che lascia ammirati. Il tono semiserio
e la palese eccessività di alcune scene sono funzionali al
raggiungimento di questa irridente sospensione simbolica, che trova
pieno compimento nel finale ambiguo e profondamente amaro. Dal punto di vista registico siamo di fronte ad un capolavoro: per
l'elegante confezione estetica, per il rigoroso controllo di una storia
"esplosiva", per il senso del ritmo che si attua in un montaggio
frenetico, ma straordinario, che fa letteralmente "volare" le tre ore di
durata, per i continui cambi di registro nel passare da scene
"baraonda" a momenti riflessivi con dialoghi sferzanti. E come non
citare i tanti virtuosismi tecnici: primi piani espressivi, campi
lunghi, carrellate forsennate, fino ad una scena del
finale (in cui gli agenti FBI mostrano al protagonista un importante
biglietto) che ci regala una splendida profondità di campo, di
wellesiana memoria. A parer mio l'Oscar alla regia 2014 dovrebbe essere
assegnato a Scorsese di diritto. Ed infine il cast, da applausi: Di Caprio offre un'interpretazione
"bigger than life", di notevole impatto e sempre sul filo
dell'overacting, ma il sorprendente Jonah Hill, che gli fa da spalla e
contraltare, gli tiene testa egregiamente. Fanno sorridere le critiche
mosse da alcuni nei confronti della rappresentazione affascinante di
questi ambigui personaggi visto che il film è una satira ispirata a
fatti e figure reali che intende narrare, con caustico cinismo, gli
stravizi del capitalismo. Non capisco perchè questi moralisti si
scandalizzino tanto per un film e non per quello che, tutti i giorni,
vediamo attraverso i mezzi d'informazione, che è poi l'oggetto di
critica della pellicola. Ben tornato Martin, finalmente!
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