venerdì 26 febbraio 2016

Caro diario (Caro diario, 1993) di Nanni Moretti

Tre momenti diversi della vita di Nanni (Moretti) raccontati in tre episodi distinti. Nel primo (“In vespa”) Nanni vaga per le strade deserte ed assolate della Roma d’agosto, attraverso scorci da cartolina e periferie degradate. Va al cinema e poi finisce all’Idroscalo di Ostia, nel luogo dove fu assassinato Pier Paolo Pasolini. Nel secondo (“Isole”) Nanni viaggia per le isole Eolie, da Lipari a Filicudi, insieme all’amico Gerardo, che è affetto da teledipendenza patologica. Nel terzo (“Medici”) Nanni ci racconta la sua odissea personale, in buona parte realmente accaduta, a causa di un linfoma di Hodgkin, diagnosticato con enorme difficoltà dopo una serie interminabile di visite mediche, consulti, accertamenti e cure tanto dispendiose quanto inutili. Splendido racconto personale, sotto forma di originale agenda autobiografica aperta, costruito sapientemente in bilico tra toni opposti: dramma e commedia, realtà e finzione, cronaca e romanzo, severità e ironia, profondità e leggerezza. Nonostante le apparenze ed il titolo sarcastico è uno dei film morettiani in cui l’autore parla meno di sé stesso, svolazzando, tra momenti impagabili e geniali invenzioni, attraverso profonde critiche di natura collettiva (al cinema americano, ai critici cinematografici, alla tv spazzatura, alle cattive abitudini dei vacanzieri estivi, al sistema sanitario nazionale), fino a momenti di reale commozione, come il grande vuoto spirituale, morale, politico e culturale lasciato dalla tragica scomparsa di Pasolini. Senza retorica né abbellimenti, ma con la consueta spavalda perfidia intellettuale, l’autore ci consegna un sincero spaccato dell’Italia degli anni ’90, dimostrando una padronanza stilistica ed un’originalità di visione assolutamente encomiabili. La rinuncia al filtro di un personaggio di fiction ed al tradizionale plot narrativo, dà luogo ad una sorta di cinema verità in cui il narratore-regista-attore è una sorta di “tuttologo” che intende stabilire una reale complicità con il pubblico, cercando di abbattere i pregiudizi politici, le antipatie personali e le posizioni intellettualmente snobistiche che hanno sempre accompagnato la sua persona. In questo film ondivago e solo apparentemente senza meta, fatto di scatti improvvisi, depistaggi e metafore, Moretti prova a tracciare una linea di demarcazione tra il suo cinema del passato e quello del futuro, attraverso schizzi e suggestioni narrative, una sorta di improvvisato racconto per appunti, scritti liberamente, ma tutti animati da un costante impegno civile. Premiato con il Premio alla regia al Festival di Cannes, che ha sempre profondamente amato il cinema di Moretti, è un’opera fondamentale e spartiacque nella sua filmografia, perché segna l’inizio della piena maturità artistica dell’autore trentino. Tra le sequenze che sono entrate, a pieno diritto, nella memoria collettiva, vanno ricordate la visita al rione Spinaceto del primo episodio e l’esilarante critica “distruttiva” nei confronti del cruento thriller americano Henry, pioggia di sangue.

Voto:
voto: 4/5

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