mercoledì 24 febbraio 2016

Nato il quattro luglio (Born on the Fourth of July, 1989) di Oliver Stone

Storia vera di Ron Kovic, tratta dal suo libro autobiografico: nato nel giorno della festa dell’indipendenza americana e cresciuto nel midwest, in una famiglia del ceto medio con una rigida educazione cattolica. Partito volontario per il Vietnam e ritornato a casa paralizzato dalla cintola in giù per una pallottola nella spina dorsale. Dopo un lungo e doloroso ricovero in un ospedale militare, il nostro si scontra con la difficile realtà dei reduci della “sporca guerra”, con l’indifferenza o l’ostilità della gente comune che non comprende il suo sacrificio, anzi condanna indistintamente tutti coloro che hanno combattuto nel sud est asiatico. Preda di una profonda depressione, Ron smarrirà presto le sue illusioni patriottiche, in favore di un aspro risentimento nei confronti del suo paese che, dopo averlo “usato” e spezzato nel corpo, lo ha abbandonato in balia del proprio dolore. Dopo aver sfiorato più volte il baratro della perdizione, il nostro riuscirà a recuperare un senso per la propria vita, abbracciando la causa del pacifismo e le battaglie civili dei tanti reduci “rinnegati”. Vigoroso pamphlet antimilitarista che condanna, senza appello, quel fanatismo ideologico nazionalistico che spinse tanti giovani “innocenti” a partire, e a morire, nella famigerata guerra del Vietnam, peccato originale di una nazione in bilico tra imperialismo e culto del successo. Con elevate ambizioni epiche si erge a tragedia storica assoluta, per condannare la mistica patriottica e la guerra in generale, facendosi latore di un discorso critico, reso spesso esagitato da troppa enfasi polemica, sulla politica americana in generale. Come spesso avviene nel cinema di Oliver Stone, la belligerante vena contestatrice, intesa a denunciare i complotti del potere e le ingiustizie sociali, finisce per straripare, diventando pesante retorica populista e perdendo, quindi, in rigore ed efficacia. Il risultato finale è un film diseguale ed instabile, alla continua ricerca di scene madri e momenti ad effetto, fin troppo urlato per risultare realmente pungente. Il divo Tom Cruise smette i panni di icona sexy delle ragazzine e prova a vestire quelli di vero attore drammatico, ma la sua interpretazione, costantemente caricata, ha le medesime pecche del film. L’impegno è tanto, ma non basta. Il film vinse due premi Oscar: miglior montaggio e miglior regia. Il secondo assegnato con una certa generosità.

Voto:
voto: 3/5

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