Joe
Hilditch è un uomo di mezza età, timido, scapolo e solitario. Responsabile di
una mensa aziendale, trascorre il tempo libero degustando cibi succulenti e
guardando i videotape di sua madre, vecchia diva della televisione, divenuta
famosa per un programma di cucina. Ma Joe ha un terribile segreto nell’animo,
una doppia vita da nascondere di cui nessuno sospetta. E’ infatti un serial
killer metodico che va a caccia di giovani ragazze sole e spiantate, per
allacciare prima con loro un rapporto di amicizia e poi ucciderle,
seppellendone i corpi nel suo giardino. Un giorno l’uomo incontra la minorenne
Felicia, fuggita incinta dall’Irlanda alla disperata ricerca del suo fidanzato Johnny,
emigrato in Inghilterra per lavorare in fabbrica. Hilditch le offre il suo
aiuto e la ragazza, sola e spaesata, sembra fidarsi di lui, non potendo
immaginare chi sia realmente il suo improvviso benefattore. Dall'omonimo
romanzo di William Trevor, Egoyan ha tratto un cupo dramma esistenziale, una
triste storia di anime perdute, tra complessi edipici, infanzie tormentate e
psicopatologie represse. E represso è forse l’aggettivo più calzante per questo
film grigio, inquietante, infelicemente trattenuto come un singhiozzo soffocato
che, costantemente, ti avvinghia alla gola senza mai liberarsi in pianto
realmente liberatorio. Come un lucido documentarista del dolore interiore,
quello di Hilditch ma anche quello della delusa Felicia, il regista analizza i
tormenti dei due protagonisti con meticoloso rigore, con una messa in scena
algida disseminata di citazioni hitchcockiane, che conferiscono al quadro
d’insieme un’angosciante ambiguità per un thriller atipico e introspettivo, uno
dei rari casi di film sui serial killer in cui non viene mai mostrata alcuna
violenza esplicita. L’esplorazione dell’oscuro inconscio di Hilditch, con i
continui salti tra presente e passato e l’ossessiva ricorrenza di schemi
compulsivi (il rituale culinario, i video in VHS), assume la forma di un’agghiacciante
immersione in un universo “malato”, flemmaticamente morboso, denso di rimandi
arcani a quelle favole antiche che costituiscono la materia fondante di tutte
le paure infantili. Straordinaria interpretazione di Bob Hoskins, la migliore
della sua lunga carriera di caratterista di classe, il cui volto triste e
tranquillo è perfetto per un personaggio come Hilditch, un “mostro” gentile
pieno di zone d’ombra. Molto brava anche la giovane Elaine Cassidy nei panni di
Felicia, con il suo sguardo intenso di perfetto agnello sacrificale. Nonostante
qualche divagazione di troppo nella parte centrale, che ci allontana
inutilmente dal cuore nero della vicenda, questo thriller anticonvenzionale è
un’opera di assoluto rilievo nella filmografia del regista “apolide” di origine
armena, ed una delle più originali pellicole sui serial killer mai girate.
Memorabile la sequenza in cui Hoskins/ Hilditch si confessa alla dormiente
Felicia e le racconta delle “altre”, del suo tenero rapporto con loro prima di
“metterle a riposare”. Altri punti di forza del film sono la ricercata colonna
sonora di Michael Danna, affascinante commistione straniante di musiche retrò e
di influenze celtiche, che conferisce alle scene più drammatiche un forte senso
di patos, e la brillante confezione estetica, con una raffinata fotografia che
ritrae perfettamente i paesaggi industriali britannici.
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