Durante
la guerra in Vietnam il soldato idealista Chris Taylor, partito volontario per
dimostrare che non dovessero essere solo le classi sociali più deboli a
rischiare la vita per la patria, si scontra con una terribile realtà fatta di
orrore quotidiano, violenza disumana, degrado morale e perdita di ogni forma di
umanità. Nel tragico scontro tra due sergenti, suoi mentori sul campo di
battaglia, il sadico Barnes e l’assennato Elias, Chris perderà per sempre la
sua innocenza e troverà la propria dolorosa via nell’abominio della “sporca
guerra”. Celebre war movie di Oliver
Stone, probabilmente il suo film più famoso, che riscosse un notevole successo
di pubblico e critica, facendo incetta di premi “pesanti” alla sua uscita.
Chiaramente ispirato dalle reali esperienze del regista reduce, che ha
combattuto in Vietnam tra il 1967 e il 1968, è una truce requisitoria
antimilitarista, intrisa di acri umori polemici verso il proprio paese e verso
la retorica dell’eroismo patriottico. Il punto di vista di Chris, interpretato
dal volenteroso Charlie Sheen, è, evidentemente, quello dell’autore, che si
identifica con il suo protagonista, condividendone gli ideali di partenza e la
successiva, inevitabile trasformazione spirituale, amaramente mossa dal
disincanto e dalla necessità di sopravvivere in un ambiente efferato. Il
viaggio interiore di Chris/Sheen, così come quello del personaggio interpretato
da suo padre nel capolavoro assoluto Apocalypse
Now di Francis Ford Coppola, è un doloroso itinerario spirituale negli
abissi più cupi e primordiali della natura umana, dominati da un male così radicale
da risultare privo di senso. Un itinerario definitivo, privo di appello, di
ritorno e di redenzione. Ma se la prima parte del film ha una sua indubbia
forza tragica, un’energia possente ed una lucida dimensione di crudele
realismo, la seconda perde vigore e s’ingolfa in un pachidermico tripudio di
scene madri all’insegna del più bieco sensazionalismo, la cui enfasi strumentale
sfocia nella retorica negativa di stampo moralistico. Il suo limite maggiore è
proprio il suo essere, spudoratamente, un film “da Oscar”, con troppo livore e
troppo impeto nel suo dichiarato intento declamatorio. La legittimità del
messaggio è fuori discussione, l’etica che sostiene l’operazione pure, ma il
pulpito è una cosa troppo dura da digerire, anche per Hollywood. Nell’importante
cast, oltre al già citato Sheen junior, vanno ricordati gli efficaci Willem
Dafoe e Tom Berenger, nei panni dei due sergenti contendenti, ed un
giovanissimo Johnny Depp. La pellicola vinse quattro Oscar (film, regia,
montaggio e montaggio sonoro), tre Golden Globe ed il premio alla regia al
Festival di Berlino. Il suo successo, esagerato ed ampiamente superiore al suo reale
valore, riuscì, purtroppo, ad oscurare un’opera di ben altro rilievo e spessore,
come lo splendido Full
Metal Jacket, “colpevole” di essere uscito subito dopo il film di
Stone, a causa dei tempi “biblici” di lavorazione tipici dei set di Stanley
Kubrick.
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