venerdì 26 febbraio 2016

Un mondo perfetto (A Perfect World, 1993) di Clint Eastwood

Nel Texas del 1963 il rapinatore Butch Haynes evade dal carcere di Hunstsville, prende in ostaggio un bambino di otto anni, Philip detto “Buzz”, e con lui inizia una rocambolesca fuga verso la lontana Alaska. Sulle sue tracce si mettono un roccioso ranger tutto d’un pezzo, una tenace criminologa ed un tiratore scelto dal grilletto facile, dando vita ad un’affannosa caccia all’uomo, attraverso strade polverose e verdi piantagioni di granturco. Intanto tra Haynes ed il piccolo “Buzz” sta nascendo un sincero rapporto di reciproca fiducia, perché il bambino vede in lui il padre che non ha mai avuto. Intenso road movie di Clint Eastwood, dal titolo amaramente ironico, sotto forma di struggente dramma esistenziale che si esplica nel rapporto, autentico quanto improbabile, tra un bambino ed un delinquente “gentile”. Emblematicamente ambientato nell’America texana del 1963, proprio alla vigilia dell’assassinio del presidente Kennedy, è una tragica elegia in chiaroscuro che ci parla, soprattutto, di perdita dell’innocenza. L’innocenza di “Buzz”, costretto a crescere di colpo a causa degli straordinari eventi vissuti nei tumultuosi giorni al fianco di Haynes, e quella della nazione americana, che perderà improvvisamente sogni e certezze dopo lo shock dell’attentato di Dallas. Eastwood descrive con lucido rigore, accostando alla lievità del tocco l’asprezza dei contenuti, un mondo tutt’altro che perfetto, dando vita ad un’acuta riflessione critica sulla società americana alla vigilia di una di quelle date, il 22 novembre 1963, che più di tutte ne hanno irreversibilmente modificato storia e coscienza. L’autore si conferma narratore di razza, maturo e profondamente amaro nel drammatico finale (che, guarda caso, ci parla di un omicidio “legalizzato”), ma anche capace di mirabili tocchi di tenerezza nel commovente rapporto che s’instaura tra i due improvvisati compagni di viaggio. Un rapporto sinceramente toccante, che ci emoziona parlandoci dritto nell’anima e che rappresenta, inevitabilmente, il cuore pulsante dell’opera. L’autore conferma anche la sua naturale abilità nella direzione degli attori, tutti bravissimi, da Kevin Costner al piccolo T.J. Lowther, da Laura Dern allo stesso Eastwood, ovviamente nei panni del granitico sbirro Red Garnett. Incredibilmente snobbato dai premi Oscar del 1994, questo mondo (im)perfetto del grande regista californiano è anche un magistrale esempio di nuovo cinema classico, malinconicamente pungente e profondamente etico, nell’accezione più positiva del termine.

Voto:
voto: 4/5

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