Nel
Texas del 1963 il rapinatore Butch Haynes evade dal carcere di Hunstsville,
prende in ostaggio un bambino di otto anni, Philip detto “Buzz”, e con lui
inizia una rocambolesca fuga verso la lontana Alaska. Sulle sue tracce si
mettono un roccioso ranger tutto d’un pezzo, una tenace criminologa ed un
tiratore scelto dal grilletto facile, dando vita ad un’affannosa caccia
all’uomo, attraverso strade polverose e verdi piantagioni di granturco. Intanto
tra Haynes ed il piccolo “Buzz” sta nascendo un sincero rapporto di reciproca
fiducia, perché il bambino vede in lui il padre che non ha mai avuto. Intenso
road movie di Clint Eastwood, dal titolo amaramente ironico, sotto forma di
struggente dramma esistenziale che si esplica nel rapporto, autentico quanto
improbabile, tra un bambino ed un delinquente “gentile”. Emblematicamente
ambientato nell’America texana del 1963, proprio alla vigilia dell’assassinio del
presidente Kennedy, è una tragica elegia in chiaroscuro che ci parla,
soprattutto, di perdita dell’innocenza. L’innocenza di “Buzz”, costretto a
crescere di colpo a causa degli straordinari eventi vissuti nei tumultuosi
giorni al fianco di Haynes, e quella della nazione americana, che perderà
improvvisamente sogni e certezze dopo lo shock dell’attentato di Dallas. Eastwood
descrive con lucido rigore, accostando alla lievità del tocco l’asprezza dei
contenuti, un mondo tutt’altro che perfetto, dando vita ad un’acuta riflessione
critica sulla società americana alla vigilia di una di quelle date, il 22 novembre
1963, che più di tutte ne hanno irreversibilmente modificato storia e
coscienza. L’autore si conferma narratore di razza, maturo e profondamente
amaro nel drammatico finale (che, guarda caso, ci parla di un omicidio
“legalizzato”), ma anche capace di mirabili tocchi di tenerezza nel commovente
rapporto che s’instaura tra i due improvvisati compagni di viaggio. Un rapporto
sinceramente toccante, che ci emoziona parlandoci dritto nell’anima e che
rappresenta, inevitabilmente, il cuore pulsante dell’opera. L’autore conferma
anche la sua naturale abilità nella direzione degli attori, tutti bravissimi,
da Kevin Costner al piccolo T.J. Lowther, da Laura Dern allo stesso Eastwood,
ovviamente nei panni del granitico sbirro Red Garnett. Incredibilmente snobbato
dai premi Oscar del 1994, questo mondo (im)perfetto del grande regista
californiano è anche un magistrale esempio di nuovo cinema classico,
malinconicamente pungente e profondamente etico, nell’accezione più positiva
del termine.
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