giovedì 25 febbraio 2016

Io e Te (Io e Te, 2012) di Bernardo Bertolucci

Lorenzo è un adolescente introverso, problematico nei rapporti sociali, in costante conflitto con i genitori e alla disperata ricerca di una via di “fuga”, per isolarsi nel suo mondo interiore. L’occasione giusta si presenta nel periodo natalizio, quando il giovane finge di partire per una settimana bianca con degli amici e si rinchiude nella cantina di casa, con l’opportuna scorta di cibarie, libri e dispositivi hi-tech. Ma nello stesso luogo irrompe la vulcanica Olivia, la sua sorellastra ventenne che non vede da molto tempo e con cui ha sempre avuto un rapporto conflittuale. La ragazza, alle prese con problemi di tossicodipendenza e turbolente relazioni sentimentali, cerca disperatamente un posto sicuro in cui nascondersi per un po’. La difficile convivenza forzata farà stabilire un contatto tra i due giovani. Bertolucci torna al cinema dopo nove anni di assenza, adattando l’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, con questo intenso dramma giovanile, in cui il grande regista parmense ritorna a parlare dei suoi temi portanti, ma con sguardo più sobrio e maturo, mettendo da parte la voglia di “scandalizzare”. In particolare il contrasto tra dentro (il mondo chiuso e tranquillizzante della cantina) e fuori (il resto del mondo che fa paura), e la conseguente corrispondenza con la realtà interiore ed esteriore dei protagonisti, è un elemento presente nel cinema dell’autore fin dai tempi di Ultimo tango a Parigi. Modellando abilmente la tensione narrativa sui volti e sui corpi, giusti, dei due interpreti principali (Tea Falco e Jacopo Olmo Antinori), Bertolucci ci introduce, con discrezione, nel loro animo tormentato, mettendosi sempre al loro stesso livello, senza mai giudicarli, ma accompagnandoli costantemente con bonaria partecipazione emotiva. E in questa semplice storia di incontro tra due solitudini, silenziosamente disperate, raccontata con elegante delicatezza, l’autore si concede anche qualche lampo sincero di intensa commozione, come la struggente scena del ballo lento sulle note di “Ragazzo solo, ragazza sola”, versione italiana di “Space Oddity”, cantata, nella nostra lingua, dal grande e compianto David Bowie. Ci troviamo di fronte ad un film piccolo, ma non un piccolo film, nella filmografia di un autore che ha saputo gestire, in passato, mega produzioni, cast stellari e budget faraonici. E questo potrebbe lasciar presagire, nonostante le precarie condizioni di salute del regista, un nuovo “inizio” di carriera, magari rivolto a progetti più intimi e sentiti. Noi ce lo auguriamo caldamente.

Voto:
voto: 3,5/5

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