Lorenzo
è un adolescente introverso, problematico nei rapporti sociali, in costante
conflitto con i genitori e alla disperata ricerca di una via di “fuga”, per
isolarsi nel suo mondo interiore. L’occasione giusta si presenta nel periodo
natalizio, quando il giovane finge di partire per una settimana bianca con
degli amici e si rinchiude nella cantina di casa, con l’opportuna scorta di
cibarie, libri e dispositivi hi-tech. Ma nello stesso luogo irrompe la vulcanica
Olivia, la sua sorellastra ventenne che non vede da molto tempo e con cui ha
sempre avuto un rapporto conflittuale. La ragazza, alle prese con problemi di
tossicodipendenza e turbolente relazioni sentimentali, cerca disperatamente un
posto sicuro in cui nascondersi per un po’. La difficile convivenza forzata
farà stabilire un contatto tra i due giovani. Bertolucci torna al cinema dopo
nove anni di assenza, adattando l’omonimo romanzo di Niccolò Ammaniti, con
questo intenso dramma giovanile, in cui il grande regista parmense ritorna a
parlare dei suoi temi portanti, ma con sguardo più sobrio e maturo, mettendo da
parte la voglia di “scandalizzare”. In particolare il contrasto tra dentro (il
mondo chiuso e tranquillizzante della cantina) e fuori (il resto del mondo che
fa paura), e la conseguente corrispondenza con la realtà interiore ed esteriore
dei protagonisti, è un elemento presente nel cinema dell’autore fin dai tempi
di Ultimo
tango a Parigi. Modellando abilmente la tensione narrativa sui volti e
sui corpi, giusti, dei due interpreti principali (Tea Falco e Jacopo Olmo
Antinori), Bertolucci ci introduce, con discrezione, nel loro animo tormentato,
mettendosi sempre al loro stesso livello, senza mai giudicarli, ma
accompagnandoli costantemente con bonaria partecipazione emotiva. E in questa
semplice storia di incontro tra due solitudini, silenziosamente disperate,
raccontata con elegante delicatezza, l’autore si concede anche qualche lampo
sincero di intensa commozione, come la struggente scena del ballo lento sulle
note di “Ragazzo solo, ragazza sola”, versione italiana di “Space Oddity”,
cantata, nella nostra lingua, dal grande e compianto David Bowie. Ci troviamo
di fronte ad un film piccolo, ma non un piccolo film, nella filmografia di un
autore che ha saputo gestire, in passato, mega produzioni, cast stellari e
budget faraonici. E questo potrebbe lasciar presagire, nonostante le precarie
condizioni di salute del regista, un nuovo “inizio” di carriera, magari rivolto
a progetti più intimi e sentiti. Noi ce lo auguriamo caldamente.
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