Il
gangster Frank White esce di prigione, installa il suo quartier generale
all’Hotel Plaza di New York e riprende le sue lucrose attività di boss della
droga. Profondamente cambiato nell’animo, si pone il nobile scopo di finanziare
la costruzione di un ospedale nel Bronx, il degradato quartiere in cui è nato.
Ma le altre bande criminali ed una squadra di poliziotti violenti gli si
mettono contro, dando vita a una sanguinosa faida. Cupo noir metropolitano di Abel
Ferrara, un film notturno per ambientazioni, tematiche e senso intimo, ma anche
cosparso da spruzzi di sottile malinconia. Esteticamente sontuoso e ricercato,
ai limiti del manierismo, fonde la materia grezza dei “b-movies” violenti, particolarmente amati dal sanguigno regista
newyorkese, con una cinica “follia” visionaria di alto spessore drammatico, che
conferisce all’opera un senso quasi “sacrale”. Teso, asciutto, glaciale, totalmente
indipendente ed anticonvenzionale, in accordo allo spirito del suo autore,
questo ruvido viaggio nel mondo della mala americana ha l’aspetto di un incubo
lucido in chiaro scuro, grazie al contrasto tra gli ambienti tetri ed il candido
pallore del volto emaciato del suo “vampiresco” protagonista, interpretato con
straordinaria carica ambigua da Christopher Walken, in una delle migliori performance
della sua carriera. Il personaggio di Frank White è una sorta di allucinato principe
machiavellico, una creatura della notte che ambisce a diventare il re del
crimine newyorkese per poi ritagliarsi un ruolo di oscuro “paladino” dei
diseredati della “grande mela”, disposto a tutto pur di portare a termine il
proprio disegno. Abel Ferrara è uno di quei registi che ha contribuito
enormemente a definire le coordinate del cinema indipendente d’oltre oceano,
mostrandoci sempre, nelle sue opere, l’anima nera del suo paese, gli Stati
Uniti, e della sua città, New York. Dei tanti momenti alti di questa pellicola,
quello più memorabile è il drammatico finale aspramente beffardo, all’insegna
di un disincanto tanto amaro quanto coerente con lo spirito dell’opera. Il male
è irriducibile, sembra dirci l’autore, ed il confine tra lecito e illecito è
così sottile da apparire spesso indistinguibile. E stavolta non c’è neanche la
presenza della fede come possibile appiglio. Nella filmografia di Ferrara questo
è uno dei vertici assoluti, un’opera che resterà.
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