venerdì 26 febbraio 2016

Nel nome del padre (In the Name of the Father, 1993) di Jim Sheridan

Gerry Conlon è un giovane proletario irlandese, testardo e ribelle, in costante conflitto con il padre, Giuseppe, che lo considera uno sfaccendato. In cerca di indipendenza e di avventure parte per Londra, dove trova alloggio in una comune insieme ad altri ragazzi. Accusato di un attentato dinamitardo, compiuto dall’IRA il 5 ottobre 1974 in un pub di Guildford, viene arrestato con deboli prove e poi condannato a trent’anni, in un processo farsa, insieme ai suoi familiari e ad alcuni amici. Nonostante il vero autore dell’atto terroristico finisca per confessare, la polizia decide di non liberare gli innocenti ingiustamente incarcerati, per timore che la propria reputazione venga infangata dall’opinione pubblica. Sarà il coraggio di una coraggiosa avvocatessa a far prevalere la giustizia, dopo quindici anni di dure battaglie legali. Ispirato alla reale vicenda dei “Guildford Four” ed al romanzo autobiografico “Proved Innocent” del vero Gerry Conlon, questo vigoroso dramma giudiziario di Jim Sheridan è una veemente requisitoria contro le ingiustizie civili, contro il pregiudizio razziale e religioso e contro gli sporchi complotti compiuti da esponenti deviati della polizia inglese negli anni ’70, durante la cruenta lotta al terrorismo irlandese che lasciò sul campo numerose vittime e altrettanti soprusi. Gli evidenti punti deboli dell’opera sono nel rigido impianto a tesi, nella schematica enfatizzazione dell’abuso subito dai Conlon, che dà luogo ad un film manicheo, grossolano, didascalico, zeppo di retorica e di melassa edificante per suscitare l’inevitabile sdegno nello spettatore. La descrizione dell’ambiente carcerario e dei poliziotti inglesi è un tripudio di cliché, un ampolloso sermone a senso unico che nulla aggiunge alla reale comprensione della complessa vicenda giudiziaria. Di contro i meriti della pellicola risiedono nell’intenso rapporto tra padre e figlio, che rappresenta il cuore emotivo della vicenda, nelle aspre sequenze iniziali a Belfast, nelle eccellenti interpretazioni di Daniel Day-Lewis, Pete Postlethwaite ed Emma Thompson, e nelle “furiose” musiche composte da Trevor Jones e Bono degli U2. In definitiva ci troviamo di fronte ad un ruffiano e ben confezionato prodotto mainstream, avvincente, populista ed ampiamente sopravvalutato. Ebbe sette candidature agli Oscar del 1994 senza vincere alcun premio.

Voto:
voto: 3/5

Nessun commento:

Posta un commento