Gerry
Conlon è un giovane proletario irlandese, testardo e ribelle, in costante
conflitto con il padre, Giuseppe, che lo considera uno sfaccendato. In cerca di
indipendenza e di avventure parte per Londra, dove trova alloggio in una comune
insieme ad altri ragazzi. Accusato di un attentato dinamitardo, compiuto
dall’IRA il 5 ottobre 1974
in un pub di Guildford, viene arrestato con deboli prove
e poi condannato a trent’anni, in un processo farsa, insieme ai suoi familiari
e ad alcuni amici. Nonostante il vero autore dell’atto terroristico finisca per
confessare, la polizia decide di non liberare gli innocenti ingiustamente
incarcerati, per timore che la propria reputazione venga infangata
dall’opinione pubblica. Sarà il coraggio di una coraggiosa avvocatessa a far
prevalere la giustizia, dopo quindici anni di dure battaglie legali. Ispirato
alla reale vicenda dei “Guildford Four” ed al romanzo autobiografico “Proved
Innocent” del vero Gerry Conlon, questo vigoroso dramma giudiziario di Jim
Sheridan è una veemente requisitoria contro le ingiustizie civili, contro il
pregiudizio razziale e religioso e contro gli sporchi complotti compiuti da
esponenti deviati della polizia inglese negli anni ’70, durante la cruenta
lotta al terrorismo irlandese che lasciò sul campo numerose vittime e
altrettanti soprusi. Gli evidenti punti deboli dell’opera sono nel rigido
impianto a tesi, nella schematica enfatizzazione dell’abuso subito dai Conlon,
che dà luogo ad un film manicheo, grossolano, didascalico, zeppo di retorica e
di melassa edificante per suscitare l’inevitabile sdegno nello spettatore. La
descrizione dell’ambiente carcerario e dei poliziotti inglesi è un tripudio di cliché,
un ampolloso sermone a senso unico che nulla aggiunge alla reale comprensione
della complessa vicenda giudiziaria. Di contro i meriti della pellicola risiedono
nell’intenso rapporto tra padre e figlio, che rappresenta il cuore emotivo
della vicenda, nelle aspre sequenze iniziali a Belfast, nelle eccellenti
interpretazioni di Daniel Day-Lewis, Pete Postlethwaite ed Emma Thompson, e
nelle “furiose” musiche composte da Trevor Jones e Bono degli U2. In definitiva
ci troviamo di fronte ad un ruffiano e ben confezionato prodotto mainstream,
avvincente, populista ed ampiamente sopravvalutato. Ebbe sette candidature agli
Oscar del 1994 senza vincere alcun premio.
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