Andy
e Hank sono due fratelli in apparenza rispettabili ma con molti lati oscuri,
oberati dai debiti e con un disperato bisogno di soldi. Su idea del maggiore,
Andy, decidono di tentare una rapina, in apparenza facile, nella gioielleria di
famiglia, sfruttando la perfetta conoscenza dell’ambiente e delle abitudini. Ma
qualcosa va storto e la madre finisce uccisa in uno scontro a fuoco, insieme al
maldestro complice reclutato dal pavido Hank per l’occasione. Sarà solo
l’inizio di una sordida tragedia familiare. L’ultimo film del grande Sidney
Lumet è uno splendido noir, asciutto, tagliente, calibrato, un dramma assoluto
sulla debolezza della natura umana, sulla sua avidità e sugli abissi di
perdizione da essa provocati. E’, probabilmente, il suo film più cupo e
angosciante, ma il risultato è così straordinario che non ci poteva essere
chiosa migliore per la carriera di questo grande regista, sempre coerente ed
attento ai problemi sociali, l’ultima lezione magistrale da consegnare ai posteri.
Con questo possente apologo tragico, ricolmo di misantropia, l’autore torna a
parlarci, purtroppo per l’ultima volta, dei temi tipici del suo cinema: la
violenza, la corruzione, il degrado morale dell’individuo, il crollo dei valori
di una civiltà, quella occidentale, dedita all’edonismo. In questo caso
assistiamo alla caduta, inarrestabile, di una famiglia borghese che si sgretola
dall’interno, perché corrosa da vizi, tradimenti, invidie, sensi di colpa,
vendette, in un crescendo di alta densità tragica. Con una sceneggiatura monolitica,
una messa in scena cruda ed un cast formidabile, in cui è davvero difficile
stabilire chi sia più bravo tra Philip Seymour Hoffman, Marisa Tomei, Albert
Finney e Ethan Hawke, questo noir capitale trova un ulteriore punto di forza
nello strepitoso stile narrativo destrutturato, che rimanda direttamente al
Kubrick di Rapina a mano armata, interamente
costruito su un andamento ellittico di flashback, che ci ripropongono le stesse
vicende da differenti punti di vista. Nella formidabile squadra di attori va
data una menzione speciale alla bravura e al fascino di Marisa Tomei,
protagonista di una “torrida” sequenza d’apertura e capace di essere ancora
incredibilmente sensuale a 43 anni, ben più di altre sue colleghe più giovani e
ricercate. Inopinatamente passato in sordina è uno dei migliori film del primo
decennio del millennio nuovo. Il sarcastico titolo italiano banalizza, e non
rende affatto giustizia, al suggestivo titolo originale, tratto da un antico
detto irlandese (“May you be in heaven
half an hour before the devil knows you're dead”).
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