lunedì 29 febbraio 2016

I ponti di Madison County (The Bridges of Madison County, 1995) di Clint Eastwood

Iowa, anni ’60: Francesca è una donna italiana di mezza età, sposata con un americano da cui ha avuto due figli ed emigrata negli Stati Uniti da ragazza. Casalinga dimessa, è una donna un po’ sfatta che ha barattato la sua naturale vivacità spirituale con la totale dedizione alla famiglia ed alla monotona routine di un matrimonio tranquillo ma privo di lampi. Ma per lei tutto cambia nell’autunno del 1965, quando incontra Robert Kincaid, cinquantenne fotografo del National Geographic, uomo sensibile e affascinante che vive la sua vita in modo avventuroso, scattando fotografie in giro per il mondo. Il motivo del fatale incontro è un servizio fotografico che Robert deve realizzare sui vecchi ponti coperti di Madison County, per i quali chiederà informazioni alla donna. Approfittando dell’assenza della sua famiglia, recatasi ad una fiera del bestiame fuori contea, i due vivranno una travolgente passione di quattro giorni, durante i quali Francesca avrà modo di “scoprire” la sua reale sensualità, il suo animo esuberante ed il vero amore. Ma al ritorno di marito e figli la donna dovrà compiere la scelta più difficile della sua vita. Dall'omonimo romanzo di Robert James Waller, Eastwood ha tratto uno splendido dramma sentimentale, intenso, crepuscolare, delicato, ricco di sfumature psicologiche e dal finale struggente che regala autentica commozione, senza mai sfociare nella melassa lacrimevole dei furbi prodotti hollywoodiani di questo tipo. Con una messa in scena tecnicamente sontuosa, una fotografia che restituisce l’atmosfera di sottile malinconia degli autunni dell’Iowa e l’idealismo ingenuo degli anni ’60 e la consueta regia classica, che fa “scomparire” ogni tentazione di manierismo nella sobrietà narrativa che si mette totalmente al servizio degli attori, il grande regista californiano mette a segno un’altra pietra miliare della sua invidiabile filmografia, realizzando IL film romantico degli anni ’90. La scelta vincente è quella di raccontare l’intera storia, in flashback, dal punto di vista di Francesca, interpretata da una straordinaria Meryl Streep con una performance da applausi. In certe sequenze la grande attrice sembra anche omaggiare la nostra Anna Magnani nella sua carriera hollywoodiana, dimostrando anche una notevole empatia “chimica” con il protagonista maschile, interpretato con stile dallo stesso Eastwood. Nel doppio ruolo, a lui congeniale, di regista-attore è, ancora una volta, il regista ad avere la meglio, anche perché l’attore viene messo in ombra dalla prova della fuoriclasse Streep. Alle prese con un genere non esattamente vicino alla sua filmografia abituale, l’autore dimostra un’assoluta padronanza narrativa, rileggendo le ardenti pagine di Waller con eleganza, verosimiglianza e sensibilità, riuscendo a rendere credibili e coinvolgenti persino i dialoghi più “banali” e sospendendo la tentazione di qualsiasi giudizio morale nei confronti dei due amanti “fuori tempo massimo”, in nome di quel sentimento “favolistico” che sa essere l’amore. In questo senso è assolutamente ammirevole la capacità di Eastwood di entrare, con garbo e realismo, in un punto di vista femminile, senza mai perdere il filo della coerenza e l’asciuttezza del racconto. Ma la forza assoluta dell’opera, come anche del romanzo ispiratore, sta tutta nel senso di impossibilità che aleggia costantemente sulla relazione, una presenza incombente, discreta di fronte alla forza della passione ma, in definitiva, ineluttabile. E il più classico dei registi americani moderni sa anche regalarci una memorabile sequenza finale, che ci stringe il cuore e ci afferra alla gola: l’intera parte, silenziosa, con Francesca nel furgone e Robert sotto la pioggia è da antologia, autentica ed emozionante poesia. Grande successo di pubblico e critica per questo melodramma vitale e “lacerato”, proprio come la sua intensa protagonista.

Voto:
voto: 4/5

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