domenica 3 aprile 2022

La scuola cattolica (2021) di Stefano Mordini

Nel settembre del 1975 l'Italia fu scossa profondamente da uno dei crimini più efferati della sua storia repubblicana, immediatamente battezzato dai mass media come "Massacro del Circeo". Un evento che ebbe un impatto fortissimo sulla coscienza popolare e sull'opinione pubblica, generando un lungo dibattito politico ed un congruo ripensamento delle leggi del nostro codice di procedura penale, spostando (finalmente) la definizione del reato di stupro da crimine contro la morale a crimine contro la persona. Nei fatti connessi al massacro due ventenni del proletariato romano (Rosaria Lopez e Donatella Colasanti) furono sequestrate, violentate, seviziate ed abusate per due giorni interi in una villa del litorale pontino da tre "rampolli" dell'alta borghesia capitolina. Dopo le violenze subite la Lopez perse la vita e la Colasanti sopravvisse per miracolo fingendosi morta, incastrando poi i tre delinquenti con la sua drammatica testimonianza. Il delitto del Circeo costrinse l'Italia dell'epoca a fare i conti con la sua cattiva coscienza a base di ipocrisia, conformismo, moralismo bigotto, violenza ideologica, abbrutimento etico, diffusa corruzione e sopraffazione sociale. Questo cupo dramma biografico del toscano Stefano Mordini è tratto dal lungo e intricato romanzo omonimo di Edoardo Albinati, che nel suo racconto in prima persona (l'adolescente Albinati è il protagonista sia libro che del film) intende tracciare un affresco sociale, culturale, antropologico e politico del clima torbido di quegli anni oscuri, turbolenti e intimamente violenti, ricercando i primi germi di quel male abominevole che esplose in tutto il suo orrore in quella villa affacciata sul mare del Circeo e indagando specificamente sull'educazione ricevuta dai giovani criminali, sia a livello familiare che a livello scolastico. Albinati, figlio privilegiato della "Roma bene" del rione Trieste, frequentò infatti la stessa scuola superiore (privata, cattolica e gestita dai preti) da cui uscirono i tre aguzzini del Circeo: Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira. Esattamente come il romanzo, questo film inquietante e frammentario, intende focalizzare la sua attenzione sull'analisi del contesto che allevò e tenne nascosto l'orrore, più che sull'evento criminoso vero e proprio, che trova comunque ampia e macabra descrizione nell'ultima tragica mezz'ora dell'opera, in cui riviviamo con crudo naturalismo l'incubo vissuto dalle due povere vittime. Ma, se la ricostruzione d'epoca risulta sufficientemente accurata, la pellicola fallisce totalmente il suo intento per colpa di una messa in scena sconnessa e di un'analisi grossolana, superficiale, monocorde, più incline al dozzinale populismo che alla sottigliezza dei toni; un'analisi facinorosa nella sua generica accusa unilaterale ai padri e al clero, ma totalmente reticente dal punto di vista politico (il tetro sottobosco reazionario, nostalgico del fascismo, simpatizzante della destra estrema e sostenitore di un'innata superiorità classista, in cui sguazzava beatamente gran parte della borghesia romana degli anni '70, viene ridotto ad un paio di fugaci battute, una delle quali riguarda l'ammirazione incondizionata verso il personaggio storico di Adolf Hitler). Mancano insomma il coraggio, la personalità e l'acume per scalfire la superficie e cercare di svelare il cuore nero di una questione indubbiamente spinosa, scomoda, complessa e ancora molto dolorosa. E il fatto stesso di non provarci neppure, ma limitarsi alla patina, al sensazionalismo di maniera ed al sentimento anticlericale che oggi trova facili consensi, denota la pochezza ideologica dell'intera operazione. Non basta mostrare famiglie allo sfascio, genitori benestanti anaffettivi, assenti, immorali o incapaci, ed un potere cattolico antiquato, puritano ed ipocrita per imbastire un credibile (e meno che mai esaustivo) atto di accusa contro l'ideologia prevaricatrice e il maschilismo velenoso che animava molti giovani di quella generazione. Appare poi posticcio, straniante e discutibile l'inserimento di una sequenza in cui il professor Golgota (Fabrizio Gifuni) propone ai suoi studenti una "suggestiva" interpretazione del martirio di Cristo, rileggendo e ribaltando i ruoli di vittima e carnefice. E, citando Pasolini, che morì tragicamente proprio in quell'anno maledetto e che di quell'epoca buia fu scomodo cantore, critico affilato e oracolo preveggente, manca completamente (e clamorosamente) il logico parallelo metaforico tra sesso malato ed esercizio del potere, che equipara il primo ad un sadico strumento di sopraffazione socio-politica, inconsciamente attuato dai giovani assassini del Circeo. Nel folto cast i giovani attori (Emanuele Maria Di Stefano, Benedetta Porcaroli, Francesco Cavallo e soprattutto un "diabolico" Luca Vergoni nei panni di Angelo Izzo) risultano più credibili e ispirati dei più maturi e famosi colleghi, tra cui citiamo Valeria Golino, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Valentina Cervi e Fabrizio Gifuni. Parafrasando Almodóvar, questo film cerca di scandagliare le colpe intrinsiche di quella mala educación che rimasero troppo a lungo sotterranee e che rivelarono il loro terribile volto in una folle notte romana del settembre del '75. Ma tale scandaglio avviene utilizzando uno strumento spuntato ed un approccio maldestro, che sanno di effimera scorciatoia: quelli della semplificazione didascalica, in bilico tra il banale ed il morboso.

Voto:
voto: 2/5

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