martedì 1 marzo 2016

Oltre il giardino (Being There, 1979) di Hal Ashby

Chance è un giardiniere analfabeta e sciocco, che sa solo occuparsi amorevolmente del giardino di un vecchio signore, che lo ha accolto con benevolenza, e conosce il mondo attraverso la televisione, di cui è dipendente. Per una serie di bizzarri equivoci entra nelle grazie della moglie di un magnate, che lo scambia per un gentiluomo pittoresco ma saggio, e le sue secche affermazioni sul giardinaggio vengono scambiate per profonde metafore di natura filosofico esistenziale. In breve l’ingenuo Chance diventerà una celebrità e sarà addirittura ricevuto alla Casa Bianca in veste di consigliere. Dal romanzo “Presenze” del polacco Jerzy Kosinski, che ha scritto anche la sceneggiatura del film, Ashby ha tratto questa commedia garbata, sotto forma di favola lieve, un po’ malinconica, con sprazzi di tenero surrealismo. Ma sotto la coltre ingenua ed edificante si nasconde una sottile satira di costume che ha nel mirino il sogno americano e la mitologia del “self made man”, che vengono impunemente sbeffeggiati attraverso l’inverosimile vicenda di Chance (il cui nome è già di per sè emblematico), teorizzando così che qualunque idiota fortunato sia in grado di arrivare ai vertici della scala sociale statunitense. Altro evidente oggetto della critica del regista è il ruolo invadente e pervasivo della televisione nella società americana, la sua capacità di ottenebrare le menti e obnubilare le coscienze, creando così una generazione di stolti, felicemente ignari della propria dipendenza. Ma è grazie alla superba interpretazione di Peter Sellers, la penultima e, probabilmente, la migliore della sua carriera, che il film riesce a regalarci i momenti migliori, in bilico tra il comico e l’amaro, il beffardo e lo struggente. Attraverso una ricca gamma di espressioni, di sguardi, di risatine fugaci e di movenze (come non citare la strana camminata di Chance, che è, insieme, buffa e solenne), Sellers ci consegna un personaggio indimenticabile nel suo mix di tenerezza, amabile impaccio e sottile malinconia. Questo antesignano di Forrest Gump, che sembra uscito da una vecchia pellicola di Frank Capra, è un puro di cuore, una sorta di angelo caduto in un mondo alieno, che ne attraversa incolume le mille malizie con l’aiuto di una virginale franchezza, che risulta disarmante per l’interlocutore. Candidato all’Oscar come miglior attore protagonista, Sellers si vide “soffiare” il premio dal Dustin Hoffman di Kramer contro Kramer. Fu invece premiato Melvyn Douglas, come non protagonista, per il ruolo del potente magnate Rand, che introduce Chance nella società “che conta”. Quest’affilata parabola satirica dal tono bonario, che rappresenta il vertice della carriera di Ashby, sa mettere garbatamente alla berlina due pilastri dell’american way of life, ed attiene con eleganza al suo duplice scopo: divertire e far riflettere. Un sorriso dal retrogusto acre.

Voto:
voto: 4/5

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