Davenport (Iowa), Stati Uniti: una donna italiana che vive in America viene dimessa dopo un lungo periodo di degenza in una casa di cura per malattie mentali, dove era stata ricoverata per una forte depressione (in seguito al suicidio del marito) che le provocava angoscianti allucinazioni. Tornata alla vita normale, la donna decide di realizzare il suo sogno di aprire un ristorante italiano in città e, per lo scopo, affitta ad un prezzo stracciato una vecchia dimora isolata, Snakes Hall, disabitata da più di 20 anni, che un tempo era stato un convitto di suore. Durante le notti da sola nel grande edificio, la donna inizia a sentire strani rumori e una voce lamentosa che sembra provenire da dietro le pareti. Nessuno le crede e lei prende a indagare sul passato dell'antica casa. Scoprirà che negli anni '50 in quel luogo è avvenuto un tragico fatto di sangue, con tre donne uccise in modo efferato in una notte di tempesta e le due giovani ragazze sospettate del crimine sparite nel nulla senza lasciare traccia e mai più ritrovate. Ma quello che lei crede di sentire è reale o sono soltanto nuove allucinazioni generate dalla sua mente ancora inferma? Il settimo film di paura di Pupi Avati (il secondo di ambientazione americana, di cui il nostro è nuovamente unico autore di soggetto e sceneggiatura) è un oscuro thriller psicologico che ruota intorno alla protagonista, interpretata con nervosa adesione dalla brava Laura Morante, intrecciando una lunga parte investigativa di matrice gialla (non sempre convincente nelle svolte narrative e nei personaggi di contorno), con una introspettiva dalle suggestioni horror che intende mescolare le carte, generare il patos e confondere lo spettatore. E' un film bifronte, in cui le scene ambientate in esterni, in una provincia statunitense luminosa e impenetrabile, sono prolisse, ridondanti, a volte poco plausibili, mentre quelle che si svolgono nell'interno della casa, tetre e inquietanti, costituiscono la parte migliore dell'opera. Nuovamente il regista bolognese dimostra tutto il suo mestiere e la sua naturale dimestichezza con la materia dell'horror: abilissimo nel creare atmosfere spaventose attraverso elementi semplici e arcani, preferendo suggerire piuttosto che mostrare, sospendere le attese invece che accelerare il ritmo. Il meccanismo funziona egregiamente e la pellicola trova i suoi momenti di forte impatto negli orrori del passato, nei rumori, nelle voci sinistre, nei cunicoli nascosti, nelle scenografie gotiche, in bilico tra incubo e realtà. Il cast anglofono (in cui appaiono Rita Tushingham, Burt Young e Treat Williams) sembra meno a suo agio di quello nostrano, forse perchè Avati gira un film intimamente italiano pur scegliendo di ambientare la storia negli USA. Da segnalare le belle musiche d'archi dell'esperto Riz Ortolani e l'apparizione di Giovanni Lombardo Radice, un caratterista molto apprezzato dai fans dell'horror italiano per le sue apparizioni (negli anni '80) in numerose efferate pellicole "maledette", divenute a loro modo di "culto" per gli appassionati del cinema underground e dello splatter. Il finale (che ha lasciato perplessi la maggior parte degli spettatori) è invece uno dei punti di forza del film.
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