Romolo è un giovane spiantato che abita insieme alla sua famiglia (padre, madre, nonna e il fratello Mauro con sua moglie e sua figlia) in un piccolo alloggio nel quartiere di Tor Bella Monaca, estrema periferia romana. Romolo è diplomato geometra ma non riesce a trovare un lavoro stabile e si arrangia con piccoli lavoretti al limite della legalità. Da sempre innamorato di Samantha, che lo ha lasciato preferendogli un uomo ben più maturo ma dalla solida posizione economica, cerca in tutti i modi di riconquistarla, avendo capito che anche lei non è riuscita a dimenticarlo del tutto. Suo fratello maggiore Mauro ha alle spalle un passato da delinquente, ma è riuscito a rimettersi in sesto, lavorando tra mille difficoltà in una piccola fabbrica dove viene sottopagato e quindi non riesce a farsi una propria casa insieme alla sua famiglia. La morte della nonna, che era fondamentale nell'economia domestica grazie alla sua pensione, getta tutti nello sconforto, facendo aumentare pericolosamente le tensioni latenti. Per dare una svolta alla sua esistenza miserabile Romolo si lascia convincere da due sbandati del quartiere a fare una rapina ad una banda di malavitosi cinesi che gestiscono grosse somme di denaro di illecita provenienza. Questo lucido dramma sociale che pone nella sua tagline un dilemma annoso e cruciale ("cattivi si nasce o si diventa ?") segna il felice esordio alla regia dell'attore Marco Bocci, che lo ha scritto e diretto con intensità e "mestiere" ispirandosi al suo stesso romanzo omonimo pubblicato tre anni prima. L'autore, che qui dimostra di essere ben più convincente come regista che come attore, gioca "in casa" perchè racconta del difficile quartiere periferico in cui è cresciuto e, quindi, sa perfettamente di cosa parla e lo fa indubbiamente molto bene. Pur non essendo d'accordo (lui è uno di quei "fortunati" che ce l'hanno fatta e si sono "salvati"), dipinge il degrado della "sua" periferia (facilmente adattabile a tutte le periferie delle metropoli occidentali) con piglio lucido, sguardo critico, taglio naturalistico ed un pacato accenno di bonaria solidarietà verso questi sbandati, teneri e truci insieme, che lottano per sopravvivere arrangiandosi, spesso l'uno a danno dell'altro, facendo inconsapevolmente il gioco del sistema di potere che li ha esautorati. La denuncia sociale è tagliente e implacabile, fin dal titolo emblematico, per sottolineare le colpe di uno stato assente che emargina in un ghetto gli "indesiderabili" e poi li abbandona al proprio destino lasciandoli in balia delle spesso irresistibili sirene tentatrici del mondo criminale: per chi non fosse avvezzo allo slang romanesco, il verbo "piovere" viene utilizzato, nel sottobosco del proletariato e della malavita, per indicare l'arrivo delle forze dell'ordine. Come spesso capita negli esordi alla regia, Bocci è troppo frenetico e talvolta cerca di strafare nella ricerca di inquadrature ad effetto o di movimenti di macchina arditi, ma sono peccati veniali "di gioventù", perfettamente comprensibili in un'opera prima che è pienamente convincente e che ha la sua forza maggiore nel notevole finale in crescendo di coinvolgente impatto emotivo. Da sottolineare altresì la giustezza delle scelte musicali nella colonna sonora non originale e le ottime interpretazioni di un solido cast in cui, oltre al compianto Libero De Rienzo, Giorgio Colangeli e Lorenza Guerrieri, i più bravi sono Andrea Sartoretti e la slovacca Antonia Liskova, ormai perfettamente naturalizzata italiana. Le suggestive riprese con l'ausilio del drone, mai fini a sè stesse ma funzionali alla vicenda narrata, offrono una totale perfetta dei degradati casermoni periferici, "formicai" umani pulsanti di vita, di rabbia, di tensioni e di contraddizioni, mostrando sempre in evidente lontananza il luccichio di una Roma indifferente e privilegiata, che appare distante anni luce.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento