La famiglia afroamericana degli Haywood gestisce da tempo un ranch in California in cui addestrano i cavalli selvaggi destinati a comparire nei film di Hollywood. Dopo la strana morte del patriarca Otis, i suoi due figli, Emerald e OJ, ereditano con orgoglio l'intera attività. Ma una serie di eventi misteriosi e sconcertanti, che avvengono nell'area intorno alla fattoria, convincono OJ che una minaccia di origine aliena incomba su di loro. Sua sorella Emerald, inizialmente più scettica, dopo un improvviso blackout notturno che provoca un folle terrore in tutti i loro cavalli, comprende che OJ potrebbe avere ragione. Questo terzo lungometraggio di Jordan Peele (che lo ha prodotto, scritto e diretto) inizia con una citazione biblica enigmatica, prosegue come un moderno western e poi come una satira sarcastica sull'esclusione dei neri d'America dalla storia (in questo caso del cinema hollywoodiano), sminuendone provocatoriamente il ruolo. Quindi si trasforma in film di pura fantascienza, che stinge sempre più nell'horror, per poi deviare nuovamente verso il monster movie avventuroso. Dopo l'epilogo "acchiappa applausi", lo spettatore più attento e riflessivo potrebbe anche cogliere il senso del versetto dell'incipit, chiudendo il cerchio del ragionamento teorico che l'autore intendeva suggerire. O magari anche no, perdendosi tra i meandri e le anse di un'opera forse troppo ambiziosa, troppo caricata, che volendo a tutti i costi stupire finisce per strafare. Fin dalle interviste della première il regista ha espressamente dichiarato di essersi ispirato al cinema di Steven Spielberg degli anni '70 e '80, quello che ha creato meraviglia, paura ed emozione nell'immaginario collettivo di un paio di generazioni di spettatori. Ma se Spielberg è il "vate" putativo di questo Nope, bisogna anche dire che Peele ci aggiunge molto del suo (il black pride, il razzismo, l'ironia straniante) e si fa inconsciamente influenzare anche da opere attinenti di altri registi come J.J. Abrams o M. Night Shyamalan. Se è vero che il film diverte e intrattiene gli appassionati del genere, soprattutto nella seconda parte più agile e dinamica, e se è vero che il disvelarsi della vera natura del pericolo alieno provoca qualche brivido, va anche riconosciuto che l'abbondanza di toni, generi e suggestioni non viene gestita con il giusto equilibrio, ma anzi tende spesso a sbandare nell'accumulo caotico, con più di qualche passaggio a vuoto. E' possibile che emerga la sensazione finale che, in fondo, tutto possa essere ricondotto ad una grande metafora acida riferita allo stesso mondo del cinema (hollywoodiano), alla sua crisi, alla sua iperbole involutiva ed autodistruttiva. Peele non ha né confermato né smentito, ma l'ambiguità di lettura è sicuramente un valore aggiunto. Persino in uno spettacolo così confuso e rappreso come questo film riuscito a metà.
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