Melissa, sedicenne siciliana timida ma molto curiosa rispetto ai turbamenti sessuali che prova, vive a Catania con una madre anaffettiva ed un padre sempre assente per lavoro. I suoi "complici" sono la vivace nonna Elvira ed il suo diario, su cui annota quotidianamente i pensieri e i desideri più intimi. E' da sempre innamorata del compagno di scuola Daniele, con il quale conosce per la prima volta il sesso, ma ricavandone delusione e umiliazione. Ferita nell'orgoglio, Melissa cade in una pericolosa deriva autodistruttiva, concedendosi a più uomini (anche maturi) alla ricerca del piacere, ma anche in una inconscia forma di "punizione". Questo dramma erotico, secondo lungometraggio del palermitano Luca Guadagnino, è tratto dal pruriginoso e (si dice) autobiografico romanzo "Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire" di Melissa Panarello, che all'uscita del libro si firmava con lo pseudonimo Melissa P. per mantenere un alone di mistero e di riserbo. Tra scandali sinceri e/o ruffiani, il libro, che di certo non concorrerà mai per il Pulitzer o suoi analoghi, è un racconto furbetto realizzato ad arte per creare un "caso", far leva sulla curiosità e sul voyeurismo del pubblico e vendere il più possibile. Obiettivo raggiunto: fu un best-seller dell'anno 2003 con circa due milioni di copie vendute in oltre 40 paesi. L'attrice Francesca Neri, memore dei suoi esordi con Bigas Luna, Le età di Lulù (Las edades de Lulú, 1990), fu la prima a fiutare l'occasione di crearne anche un business cinematografico, e decise di produrre il film insieme a Claudio Amendola (che all'epoca era suo marito). Chi conosce (e apprezza) la cinematografia di Guadagnino non potrà fare a meno di cospargersi il capo di cenere guardando questa pellicola insulsa, fasulla, spudoratamente commerciale, pedantemente moralista e scaltramente morbosa, appositamente congegnata per "scandalizzare" i benpensanti e, quindi, incassare. Ma, alla fine, non è riuscito a fare nemmeno quello, raddoppiando a malapena il budget speso e dimostrando che, a volte, il pubblico è ben più intelligente di quello che si pensa. Manca completamente la sensualità, l'erotismo è degno delle peggiori "commedie scollacciate" italiane degli anni '70, situazioni e dialoghi sono all'insegna del più bieco stereotipo, ogni possibile ricerca di analisi psicologica o sociale sul fenomeno della sessualità giovanile risulta non pervenuta, l'eventualità di un racconto di formazione identitario naufraga miseramente e, "dulcis in fundo", il finale catartico è sciocco, bacchettone e melenso. Nonostante la buona scelta della protagonista (la spagnola María Valverde), l'indovinata invenzione del personaggio della nonna liberale (Geraldine Chaplin) e la presenza nel cast (sebbene in ruoli minori) di bravi interpreti come Claudio Santamaria, Elio Germano o Alba Rohrwacher, il regista non è riuscito a sfruttarne il potenziale, finendo per sprecarli. In un'intervista del 2018, probabilmente costernato e pentito di questo passo falso di inizio carriera, Guadagnino ha detto (in sua estrema difesa) che la produzione rifiutò il suo "final cut" e, durante il montaggio, cambiò sostanzialmente il film rispetto alla sua idea originaria. Sarà tutto vero? Unica cosa da salvare dall'ecatombe generale: l'accattivante brano originale "Swan", scritto e cantato da Elisa, e composto appositamente per la colonna sonora della pellicola.
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