Negli anni '20 sulla piccola isola di Inisherin, di fronte alle coste dell'Irlanda, Pádraic e Colm sono amici da una vita e condividono le ripetitive abitudini quotidiane della loro comunità fatta di gente semplice, umile e di scarsa cultura. Dopo il lavoro manuale mattutino, ci si ritrova dopo le due al solito pub per bere una pinta di birra scura e fare le consuete chiacchiere. Mentre sulla madrepatria infuria terribile la guerra civile, di cui si sentono chiaramente le esplosioni in lontananza dall'altro capo della costa, l'isola vive una condizione di immobile tranquillità, come sospesa in un limbo inerte, sempre uguale e fuori dal tempo. Pádraic è un mite mandriano, gentile, sempliciotto, di poche pretese e di scarse prospettive. Colm è un uomo più maturo, più colto, profondo e quindi tormentato, che sfoga nella musica del suo violino un sottile male di vivere che riesce quasi sempre a tenere nascosto. Un giorno, senza un reale motivo o un vero accadimento "grave", Colm fa sapere all'amico che non gli va più a genio, che non intende più rivolgergli la parola e che vuol esser lasciato in pace. Disperato e smarrito, Pádraic sente crollargli il mondo addosso e cerca in tutti i modi di riavvicinarsi a lui, quasi sempre con modi goffi e maldestri, o chiedendo l'aiuto della sua ben più sveglia sorella Siobhán, del prete, dell'oste e persino del giovane strambo Dominic, lo scemo del villaggio. Ma la situazione finisce per degenerare, assumendo contorni sempre più dolorosi e imprevedibili. Il quarto lungometraggio dell'irlandese Martin McDonagh, da lui co-prodotto, scritto e diretto, è una suggestiva "favola" dark in bilico tra la commedia grottesca ed il dramma allegorico. Un film straordinario, di limpida scrittura, di preziosa confezione formale, recitato magistralmente da un cast in grande spolvero e che si avvale dei magnifici scenari naturali selvaggi degli arcipelaghi irlandesi (le riprese si sono svolte quasi tutte in esterni nelle isole di Achill Island e di Inishmore, mentre il nome di Inisherin, usato per l'ambientazione della vicenda, è di pura fantasia). Scenari fatti di scogliere scoscese, spiagge solitarie, verdi colline, malinconici tramonti, brughiere nebbiose e lande rurali, che vengono fotografate con campi lunghi e con un sublime utilizzo artistico delle luci naturali. McDonagh, che si riconferma autore di grande spessore e di fulgido talento, si è ispirato ad una sua trilogia composta per il teatro agli inizi degli anni 2000, "la Trilogia delle Isole Aran", ed in particolare alla terza parte ("The Banshees of Inisheer"), lasciata incompleta all'epoca, ma qui ripresa e sviluppata per il grande schermo, senza disperderne la struttura teatrale e la sua forte radice immaginifica di celebrazione dei miti ancestrali del folklore irlandese. Questa pellicola dal tono tragicomico, ricca di sequenze mirabili e di momenti stranianti, non è un film sull'amicizia (come potrebbe apparire ad una prima lettura superficiale) ma un denso apologo metaforico sulla genesi della guerra civile irlandese; un conflitto sanguinoso che ha messo improvvisamente "fratello contro fratello" senza una concreta causa giustificativa, insanguinando per anni la nazione insulare e condannando, inevitabilmente, tutti alla sconfitta. E' evidente che Pádraic e Colm siano i simboli universali di questo assurdo scontro e che le loro azioni, spesso illogiche e assurde, rappresentino il non-senso di quella guerra e di tutte le guerre in generale. Alla luce di questa chiave interpretativa tutto il resto è facilmente ascrivibile sotto una consequenziale matrice metaforica: le automutilazioni (una nazione che ha fatto del male a sè stessa), la morte degli animali (le povere vittime innocenti a prescindere), il ruolo delle donne e la forte critica sarcastica espressa alle cariche istituzionali (religione, forze dell'ordine) attraverso le figure del prete ottuso e del poliziotto malvagio. E non vanno dimenticati i riferimenti mitologici (l'inquietante figura della vecchia "strega" Banshee), le tematiche filosofiche (la noia, la solitudine, l'atavica paura della morte) e le tante citazioni colte ad alti drammaturghi come Samuel Beckett o Luigi Pirandello (Colm è un classico personaggio pirandelliano, ambiguo, complesso e sfaccettato: vive uno struggente malessere interiore a causa della sua profondità d'animo che lo rende inadeguato all'umile contesto campestre in cui si ritrova; la sua casa sulla spiaggia è piena di maschere e c'è persino una scena in cui lui balla, facendo la "carriola", con il suo cane). Accolto con un entusiasmo pressoché plebiscitario dalla critica, il film ha ottenuto ben 9 candidature agli Oscar, tra cui miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura e ben quattro al sontuoso cast (Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon, Barry Keoghan), ma non è riuscito ad aggiudicarsi nessuna delle ambite statuette (!). Colin Farrell, che da quando ha iniziato le sue collaborazioni con autori impegnati come Yorgos Lanthimos è diventato un attore vero, ci regala una delle migliori interpretazioni della sua carriera, per la quale è stato premiato (tra scroscianti applausi) con la Coppa Volpi al Festival di Venezia. La coppia Farrell-Gleeson aveva già lavorato insieme, sempre sotto la regia di McDonagh, nel film In Bruges - La coscienza dell'assassino (In Bruges, 2008). Si consiglia di (ri)vedere questo autentico gioiello cinematografico in lingua originale perchè, pur nel buon doppiaggio italiano, se ne perdono parecchie importanti sfumature linguistiche, a cominciare dal titolo, tradotto in modo banale con totale dispersione dell'iconico senso evocativo primigenio. Probabilmente questa scelta è stata fatta dai distributori per rendere la didascalia più accattivante e meno anonima per il pubblico di casa nostra, mediamente poco avvezzo alle leggende anglosassoni.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento