lunedì 10 aprile 2017

A Dangerous Method (A Dangerous Method, 2011) di David Cronenberg

La nascita della psicoanalisi attraverso l’incontro-scontro tra due colossi della scienza dell’inconscio umano: il maestro Sigmund Freud e l’allievo Carl Jung. Tra loro si frappone la giovane Sabina Spielrein, che è inizialmente una paziente di Jung, a causa delle sue crisi nevrotiche di origine traumatica, e poi ne diventa l’amante appassionata e la brillante assistente. La torbida relazione sessuale tra i due darà il via alla rottura, umana e professionale, tra Freud e Jung, modificando per sempre il percorso del pensiero scientifico moderno. Intenso dramma biografico, sontuoso nell’elegante messa in scena ma ondivago nella focalizzazione dei suoi obiettivi, diretto da Cronenberg con un classico senso della misura che si sovrappone all’opacità dei contenuti. Spiazzante per la maggior parte dei fans del grande regista canadese, che non a caso lo hanno eletto come il meno cronenberghiano dei suoi film, vale soprattutto come fosco apologo storico sulla commistione di tre personalità tormentate e geniali, in bilico tra emotività e ragione, sessualità e scienza, amoralità e sperimentazione. Alla costante ricerca della luce in un mondo di ombre, è un film incerto e irrisolto che gravita intorno a un cast di attori eccellenti in cui Michael Fassbender è bravissimo, Viggo Mortensen (alla terza collaborazione consecutiva con il regista) è tanto sornione quanto compiaciuto, Vincent Cassel è esagerato e Keira Knightley (punto dolente e incomprensibile miscasting) è eccessiva al limite del ridicolo involontario nelle sue smorfie ed espressioni. Il progressivo scivolamento nel melodramma ambiguo, che è stato probabilmente il motivo principale dell’interesse dell’autore nei confronti della vicenda, finisce per indebolire la resa finale dell’opera, lasciando scontenti sia gli ammiratori di Cronenberg che i patiti delle biografie calligrafiche, come se la visionarietà selvaggia del regista fosse stata ingabbiata da una vicenda storica fin troppo ingombrante. Da preferire nettamente la visione in lingua originale, perché il doppiaggio italiano finisce per peggiorare ulteriormente le performance più deludenti, come quella della Knightley (tanto bella quanto acerba), costantemente sul filo dell’overacting.

Voto:
voto: 3/5

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