Film
autobiografico, in cui ogni attore interpreta se stesso, che racconta un pezzo
di vita cruciale dell’autore e del nostro paese, tra il 1994 e il 1996. Si
comincia con Emilio Fede che annuncia al TG4 la vittoria di Berlusconi e della
destra alle politiche del marzo 1994, si prosegue con Moretti che intende
girare un documentario politico sul neo premier (per parlare dell’evidente
conflitto d’interessi), salvo poi puntare su un musical che ruota intorno a un
pasticciere trotskista (spunto già anticipato in un episodio di Caro
Diario). Intanto gli nasce un figlio, Pietro, e il nuovo ruolo di
padre, affrontato con buffa dedizione, gli crea patemi personali e impacci
lavorativi. Poi, nelle elezioni anticipate dell’aprile 1996, arriva la vittoria
del centrosinistra dell’Ulivo e l’avvento del governo Prodi. Ma anche stavolta
non mancano le contraddizioni. A metà strada tra il diario personale e la
fiction familiare, l’opus n. 8 di Nanni
Moretti è un film ambizioso, ironico e divulgativo: una sorta di messa a nudo
dell’autore nel suo mix (invero non sempre riuscito) tra la dimensione pubblica
e quella privata, tra la politica e la famiglia, tra le ansie per essere padre
a 43 anni e lo sconcerto per la vittoria plebiscitaria del berlusconismo. Non
tutto funziona a dovere, ad esempio i momenti privati sono generalmente più
riusciti di quelli pubblici, ma non mancano le trovate geniali, le battute
memorabili e le sequenze rimaste nell’immaginario collettivo (il lenzuolo di
giornali, il corteo milanese del 25 aprile, le invettive a D’Alema nello
scontro televisivo contro Berlusconi). E’ indubbiamente un’opera spiazzante, in
surplace tra l’autoanalisi
celebrativa e l’indignazione sarcastica, che ha fortemente diviso la critica,
il pubblico e persino i fans
inossidabili dell’autore. Il sospetto di manierismo stilistico autoreferenziale
è più che fondato ed è difficile collocare Aprile
tra le pellicole migliori del regista di Brunico, ma la critica acida alla
perdita di riferimenti della sinistra italiana e la derisione impietosa di un
paese farlocco pronto a farsi imbambolare dall’imbonitore del momento sono di
perfida intelligenza. Alla fine è come se
Moretti (quello reale e quello del film), in preda ad un’evidente impasse
creativa, abbia deciso di girare il documentario su se stesso invece che su
Berlusconi, in un formidabile paradosso metacinematografico. Nel cast, oltre al
mattatore Moretti, brilla il fidato Silvio Orlando, premiato con il David di
Donatello per la sua interpretazione. Non mancano i consueti graffi critici al
cinema commerciale americano, in questo caso a Strange
Days di Kathryn Bigelow, che viene definito, senza mezzi termini, una “cazzata memorabile”.
La
frase: “D'Alema, dì una cosa di sinistra. Dì una
cosa anche non di sinistra, di civiltà... D'Alema, dì una cosa, dì qualcosa,
reagisci...”
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