San
Miniato, Toscana, agosto 1944, durante l’occupazione tedesca. Con gli alleati
ormai alle porte e la guerra di Resistenza in atto, i nazisti convincono il
vescovo locale a radunare l’intera cittadinanza nella chiesa, garantendo la
salvezza di tutti. Ma alcuni coraggiosi preferiscono seguire il fattore
Galvano, che non si fida dei tedeschi e teme una trappola mortale, cercando una
disperata fuga verso una zona franca già nelle mani dell’esercito americano. Straordinario
affresco corale in forma poetico biografica dei fratelli Taviani, che partono
dallo spunto di uno dei tanti momenti tragici vissuti dal nostro paese durante
la seconda guerra mondiale: la strage del Duomo di San Miniato, loro paese
natio, compiuta dai nazisti ai danni dell’inerme popolazione civile. Più che un
film è un lungo flusso di suggestioni magiche, sospeso tra ricordi personali e
memoria sociale, racconto storico e trasfigurazione fantastica, fiaba e tragedia,
orrore e poesia, mitizzazione epica e romanzo lirico. I registi avevano già realizzato,
nel 1954, un documentario sulla strage intitolato “San Miniato luglio '44” e decisero di girare la pellicola nei veri luoghi
dove si svolsero i fatti storici (le campagne circostanti il loro paese), con
la sola eccezione dell’interno della chiesa, preferendovi la Collegiata di Sant’Andrea
di Empoli per motivi di sensibilità e di rispetto verso eventi così tragici e
ancora troppo dolorosi. Malgrado l’atrocità dei fatti la scelta stilistica di
mediare il tutto attraverso il dolce filtro della memoria infantile,
utilizzando la prospettiva dello sguardo sognante dei bambini, si rivela artisticamente
mirabile e connota una vicenda tragica di geniale originalità espressiva. L’idea
dell’alter ego fanciullo garantisce il giusto distacco dalla materia trattata,
evita un coinvolgimento emotivo troppo esasperato e favorisce la sublimazione
della dolorosa cronaca storica in somma poesia visionaria. Tante le scene
memorabili da consegnare a un’ideale antologia del cinema d’autore: la notte
nel casale, la battaglia nei campi di grano (che eleva la campagna toscana a
ideale coprotagonista), la celebre sequenza onirica del fascista trafitto dalle
lance che è poi divenuta il simbolo del film, l’epilogo sotto la pioggia. I
Taviani esplorano l’utopia, il mito, la memoria e il sogno per rendere in
immagini un orrore inenarrabile, una ferita storica profonda che non potrà mai
essere totalmente rimarginata e le cui implicazioni politiche generano
polemiche ancora oggi. La testimonianza di un popolo che intende esorcizzare il
proprio dolore diventa un’epopea corale di intenti e di energie vitali, in cui,
pur in situazioni estreme, si ha ancora la forza per vivere sentimenti puri e
sensazioni inebrianti come l’amore, la pietà, il coraggio, la speranza. Dal
punto di vista politico il film, più che interessarsi alla questione nazisti
contro alleati, si rivolge alla lotta intestina tra fascisti e antifascisti,
fornendo alla Resistenza italiana una dimensione da guerra civile. Il film
ottenne due meritatissimi premi al Festival di Cannes (Gran Premio Speciale
della Giuria e Premio della giuria ecumenica) e fece incetta di statuette ai
David di Donatello (cinque su dieci candidature totali). Nel cast, che annovera
numerosi attori non professionisti o esordienti, spiccano Omero Antonutti e
Margarita Lozano, con menzione speciale per il primo, collaboratore di fiducia
dei registi toscani. Da elogiare anche l’intensa colonna sonora di Nicola
Piovani e la fotografia “calda” di Franco Di Giacomo. Nell’eccellente
filmografia di Paolo e Vittorio Taviani, autori di rigorosa estetica e di
fervido impegno sociale, questo è il loro massimo capolavoro.
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