Don
Giulio è un prete che ritorna a Roma dopo dieci anni trascorsi fuori sede,
vedendosi assegnare una parrocchia di periferia. L’iniziale gioia nel rivedere
i propri cari e i luoghi natii viene presto rimpiazzata da una serie di amare
sorprese, dalla constatazione che quanto lasciato è cambiato in peggio e da un
opprimente senso d’impotenza che minerà la saldezza delle sue convinzioni,
mettendo in pericolo persino la sua fede nel sacerdozio. Intenso dramma
esistenziale di Moretti, in cui l’ironia è rimpiazzata dalla compassione e
l’indignazione lascia il posto allo sgomento, forte di uno sguardo lucido e
maturo impregnato da una dolente afflizione che non è mai rassegnazione, ma
piuttosto disincanto. Questo film intimamente laico e profondamente etico è uno
dei maggiori capolavori dell’autore, nonché il più riuscito e rigoroso affresco
sulla condizione sacerdotale mai visto sul grande schermo. Meritatamente
premiato con l’Orso d’argento (Gran Premio della Giuria) al Festival di
Berlino, contiene diverse sequenze memorabili da ascrivere in un’ideale
antologia morettiana, come l’arrivo in spiaggia o la morte della madre. La
pellicola segna la prima collaborazione di Moretti con il maestro Nicola Piovani,
autore della suggestiva colonna sonora che si avvale anche di brani pescati
nell’amato repertorio dei cantautori italiani (Lauzi, Battiato). Il personaggio
di Don Giulio, interpretato dall’autore con lunare dolenzia, è forse il più
intenso e sofferto della sua ricca galleria. Moretti alza il tiro, coglie nel
segno e ci consegna una straordinaria apologia del malessere interiore, pervasa
da una profonda malinconia e da un senso di sconfitta assoluto, tipico dei
sognatori delusi. Perché in fondo Nanni Moretti è anche questo: l’ultimo degli
idealisti orfani del ’68, sospeso tra moralismo neoromantico e irrisione
nevrotica.
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