A
Montreal, in un avveniristico complesso residenziale chiamato “Arca di Noè”, un
medico patologo uccide una giovane studentessa, la sventra con un bisturi,
getta dell’acido nel suo addome e poi si toglie la vita a sua volta. Il
terribile evento sconvolge la vita dei residenti e due medici iniziano a
indagare ma non possono immaginare la tremenda minaccia con cui presto avranno
a che fare. L’omicida ha infatti agito in modo così brutale per cercare di
fermare la diffusione di un piccolo parassita vermiforme, da lui stesso creato
in laboratorio, che si trasmette di corpo in corpo attraverso gli orifizi e che
provoca nel soggetto infettato un’insaziabile libido erotica ed un’incontrollabile
furia omicida. Il terzo lungometraggio di David Cronenberg (ma il primo ad
essere distribuito su larga scala) è un agghiacciante horror fantastico denso
di suggestioni oscure e di sinistre metafore. Alcune delle quali addirittura
preveggenti visto che il morbo del film può essere letto, col senno di poi,
come un’allegoria orripilante dell’AIDS, che poi esploderà negli anni ’80. Girata
con pochi mezzi, è un’opera acerba, a suo modo seminale, con l’estetica tipica
di un B-movie del suo tempo, ma già
straripante di invenzioni accattivanti, di tocchi geniali, di visioni morbose e
di tutti quegli elementi che saranno poi ascrivibili sotto l’aggettivo “cronenberghiano”: la mutazione del
corpo, il rapporto tra sesso e morte, la malattia, lo scandaglio
psicoanalitico, l’interpretazione “venerea” delle azioni umane, la visione
apocalittica del mondo. Come molti hanno giustamente notato c’è molto di più di
ciò che sembra in questo horror intellettuale che mira allo shock efferato per
indurre riflessioni ben più profonde, basti pensare al valore aggiunto della
claustrofobica ambientazione: il mega complesso residenziale (simbolo del
capitalismo occidentale) che è di per se stesso un corpo, contagiato da altri
corpi la cui virulenza rappresenta quell’insieme di vizi, pulsioni e aberrazioni
che distrugge l’uomo dal suo interno. In tal senso le connessioni con
predecessori “nobili” quali L’invasione
degli ultracorpi (1956) di Don Siegel o La
notte dei morti viventi (1968) di George Romero sono del tutto
appropriate, anzi va riconosciuto che Shivers
vi aggiunga l’elemento sessuale (e tutte le implicazioni psico-sociologiche del
caso) come ulteriore motivo di interesse. E’ con questo piccolo grande film,
eletto rapidamente a oggetto di culto dagli amanti del cinema underground, che Cronenberg è divenuto Cronenberg,
il visionario cantore al sangue di perverse dannazioni che tutti i cinefili
amano. Nel cast va segnalata la presenza autorevole di Barbara Steele, icona
indiscussa dell’horror gotico italiano degli anni ’60. Esistono due versioni
dell’opera: una di 77 minuti e quella integrale di 88 minuti, più difficile da
reperire. Alla sua uscita fu snobbato dal pubblico e stroncato dalla critica,
che lo bollò come disgustoso, ma il tempo gli ha restituito i giusti meriti e
oggi viene generalmente (e meritatamente) ritenuto un caposaldo del genere
horror degli anni ’70, oltre che un’opera fondante per l’estetica dell’autore. La
memorabile sequenza della vasca da bagno è ricordata da tutti i fans del cinema
horror ed è spesso utilizzata come icona del film.
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