Tom
Ripley è un giovane americano di buone maniere ma di modesta estrazione
sociale, la qual cosa gli ha sempre procurato un’intima frustrazione con
conseguente complesso d’inferiorità, abilmente celato, nei confronti del suo
prossimo. Quando il ricco Greenleaf lo ingaggia per un viaggio in Italia allo
scopo di riportare a casa suo figlio Dickie, borghese gaudente dedito alla
dolce vita, il nostro non esita a partire alla volta dell’isola campana di Ischia,
dove entra presto nelle grazie di Dickie e della sua ragazza Marge. L’iniziale
ammirazione per il giovane disinibito e la sua esistenza spensierata si
trasforma presto in invidia e rabbia, dovuta anche ad un latente desiderio
omosessuale che Tom sembra provare nei suoi confronti. Dopo uno screzio Ripley
uccide Dickie durante una gita in barca e ne assume l’identità, dopo essersi
trasferito a Roma. Qui Tom “diventa” Dickie e dimostra una sorprendente abilità
nel gestire la difficile situazione, nonostante uno zelante poliziotto che si
mette sulle sue tracce. Tortuoso thriller psicologico, girato quasi interamente
in Italia e carico di suggestioni oscure, tratto dal romanzo omonimo di
Patricia Highsmith, già adattato per il grande schermo da René Clément nel 1960 con Delitto in pieno sole, che vedeva Alain Delon nel ruolo del viscido
Ripley. L’inquietante criminale camaleonte creato dalla penna della Highsmith è
stato portato al cinema per ben cinque volte, sempre da attori diversi e con
esiti di alterna fortuna. Questa istanza numero quattro targata Minghella ha la
forma di un giallo raffinato soverchiato dalle sue ambientazioni mediterranee, che
cerca di analizzare a fondo l’affascinante psicologia del suo “eroe” negativo
ponendo principalmente l’accento sulla disperata solitudine e sulla profonda
invidia di natura socio-economica, piuttosto che sulle tendenze omosessuali. Peccato
che tutto si riduca ad un accumulo di situazioni ovvie e di patinate
prolissità, perdendo del tutto l’ambiguo gioco di specchi ed il sottile
labirinto psicopatologico presente nel sottotesto letterario della Highsmith. Anche
la raffigurazione offerta dell’Italia e degli italiani è di irritante banalità
tra immagini da cartolina, clichè
folcloristici e semplificazioni di grana grossa. Nonostante l’eleganza della
messa in scena e la buona resa del cast anglofono, a discapito di quello
nostrano che è puramente decorativo, Minghella
appare chiaramente a disagio con le tematiche torbide e con le zone oscure
dell’animo umano, producendo un risultato finale scialbo ed incerto. Tra gli
interpreti citiamo Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Jude Law (che si merita la
palma del più bravo), Cate Blanchett, Philip Seymour Hoffman, Philip Baker Hall
e, tra gli italiani, Sergio Rubini, Stefania Rocca e persino Rosario Fiorello
in una breve sequenza musicale. La sensazione più netta è quella del grande
spreco di risorse per un film che avrebbe richiesto un approccio più introspettivo
ed un regista più audace.
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