giovedì 20 aprile 2017

Il talento di Mr. Ripley (The Talented Mr. Ripley, 1999) di Anthony Minghella

Tom Ripley è un giovane americano di buone maniere ma di modesta estrazione sociale, la qual cosa gli ha sempre procurato un’intima frustrazione con conseguente complesso d’inferiorità, abilmente celato, nei confronti del suo prossimo. Quando il ricco Greenleaf lo ingaggia per un viaggio in Italia allo scopo di riportare a casa suo figlio Dickie, borghese gaudente dedito alla dolce vita, il nostro non esita a partire alla volta dell’isola campana di Ischia, dove entra presto nelle grazie di Dickie e della sua ragazza Marge. L’iniziale ammirazione per il giovane disinibito e la sua esistenza spensierata si trasforma presto in invidia e rabbia, dovuta anche ad un latente desiderio omosessuale che Tom sembra provare nei suoi confronti. Dopo uno screzio Ripley uccide Dickie durante una gita in barca e ne assume l’identità, dopo essersi trasferito a Roma. Qui Tom “diventa” Dickie e dimostra una sorprendente abilità nel gestire la difficile situazione, nonostante uno zelante poliziotto che si mette sulle sue tracce. Tortuoso thriller psicologico, girato quasi interamente in Italia e carico di suggestioni oscure, tratto dal romanzo omonimo di Patricia Highsmith, già adattato per il grande schermo da René Clément  nel 1960 con Delitto in pieno sole, che vedeva Alain Delon nel ruolo del viscido Ripley. L’inquietante criminale camaleonte creato dalla penna della Highsmith è stato portato al cinema per ben cinque volte, sempre da attori diversi e con esiti di alterna fortuna. Questa istanza numero quattro targata Minghella ha la forma di un giallo raffinato soverchiato dalle sue ambientazioni mediterranee, che cerca di analizzare a fondo l’affascinante psicologia del suo “eroe” negativo ponendo principalmente l’accento sulla disperata solitudine e sulla profonda invidia di natura socio-economica, piuttosto che sulle tendenze omosessuali. Peccato che tutto si riduca ad un accumulo di situazioni ovvie e di patinate prolissità, perdendo del tutto l’ambiguo gioco di specchi ed il sottile labirinto psicopatologico presente nel sottotesto letterario della Highsmith. Anche la raffigurazione offerta dell’Italia e degli italiani è di irritante banalità tra immagini da cartolina, clichè folcloristici e semplificazioni di grana grossa. Nonostante l’eleganza della messa in scena e la buona resa del cast anglofono, a discapito di quello nostrano che è puramente decorativo,  Minghella appare chiaramente a disagio con le tematiche torbide e con le zone oscure dell’animo umano, producendo un risultato finale scialbo ed incerto. Tra gli interpreti citiamo Matt Damon, Gwyneth Paltrow, Jude Law (che si merita la palma del più bravo), Cate Blanchett, Philip Seymour Hoffman, Philip Baker Hall e, tra gli italiani, Sergio Rubini, Stefania Rocca e persino Rosario Fiorello in una breve sequenza musicale. La sensazione più netta è quella del grande spreco di risorse per un film che avrebbe richiesto un approccio più introspettivo ed un regista più audace.

Voto:
voto: 2,5/5

Nessun commento:

Posta un commento