Michele
Apicella è un giovane regista romano alle prese con la sua opera terza: un film
su Freud. Il già travagliato processo creativo è ostacolato da una serie di
sogni frustranti, dalla madre petulante, dal difficile rapporto con i colleghi,
dall’amore non corrisposto per la sua ex compagna di scuola Silvia e dalla
naturale idiosincrasia del nostro nei confronti della volgarità di un mondo
invadente, incline agli stereotipi e al disvalore. Il terzo film di Moretti è
una commedia grottesca, carica di umori corrosivi e di nevrastenico humour nero, a metà strada tra il
delirio e l’assioma, in egual misura ricca di invenzioni brillanti e di cadute
discutibili. Nel proseguire la sua amara analisi sul disagio della propria
generazione, l’autore ci parla del mondo del cinema e della sua importanza
“morale”, contrapponendolo alla trivialità della televisione, messa alla
berlina nella formidabile sequenza dei telequiz che è pura genialità eversiva
morettiana. L’andamento schizofrenico e qualche eccesso di narcisismo
intellettuale (alcuni hanno letto, nella presunzione dell’alter ego Apicella,
coraggiosi tentativi di accostamento al capolavoro di Fellini 8½)
non giovano ad un film instabile e squilibrato, catalogabile come opera di
transizione in preparazione della fase successiva, più meditabonda e
malinconica, che darà vita ai capolavori dell’autore. Fu premiato (non senza
polemiche) con il Gran Premio della Giuria, presieduta da Italo Calvino, al
Festival del Cinema di Venezia. Nel ricco cast segnaliamo Nanni Moretti, Nicola
Di Pinto, Laura Morante, Remo Remotti, Piera Degli Esposti e Alessandro Haber.
Le mordaci critiche a quell’edonismo sociale che poi sfocerà nello yuppismo
degli anni ’80, sono il valore aggiunto di un’opera spesso incompresa ma non
priva di lampi inventivi.
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