Eric
Packer è un giovane milionario, ricco magnate dell’alta finanza di Wall Street,
inquieto, malato di sesso e pieno di manie. Durante la visita del presidente
degli Stati Uniti a New York, il nostro è deciso ad attraversare Manhattan a
bordo di una limousine bianca super tecnologica, nonostante il caos che
imperversa nelle strade, per recarsi dal suo parrucchiere di fiducia posto
all’altro capo della città. Mentre fuori imperversano manifestazioni violente e
sommosse di manifestanti no-global, Packer prosegue il suo viaggio nella calma
ovattata della sua lussuosa auto, in cui incontra le sue donne, i suoi
collaboratori, il suo medico privato e una serie di bizzarri personaggi.
Neanche le notizie negative sui suoi affari economici e la concreta minaccia di
un individuo misterioso che vuole ucciderlo riescono a fermare il percorso
dell’uomo verso la sua meta, pur sapendo che forse, ad attenderlo, ci sarà
proprio il suo pericoloso stalker. Dall’ostico
romanzo omonimo di Don DeLillo, Cronenberg ha tratto un apologo oscuro e
surreale sul destino del capitalismo nell’era della new economy. Pervaso da suggestioni sospese e situazioni
stranianti, questa gelida composizione geometrica di immagini patinate ha al
suo fianco un’ombra di morte e un intrinseco nonsense che intende stabilire una elitaria distanza rispetto allo
spettatore. Il senso è palese anche per il pubblico meno avvezzo alle metafore
del cinema d’autore: il capitalismo occidentale è un fantasma amorfo e
solipsistico, alieno e autistico rispetto alle dinamiche del mondo reale, di
cui ignora (e disprezza) le necessità pratiche, le regole morali, i bisogni
impellenti, i problemi quotidiani. Ma più che alla critica al mondo della
finanza, l’autore è principalmente interessato agli aspetti psicologici del suo
tormentato protagonista, al suo vuoto interiore che lo spinge agli eccessi per
trovare sé stesso nei meandri bui della psiche, tendendo quasi per inerzia
verso la sua nemesi (o alter ego) che potrebbe distruggerlo o, magari,
resettarlo in un nuovo inizio. In quest’opera atipica, astratta e verbosa fino
allo sfinimento, quello che manca è il tocco di genio visionario del suo autore,
per sublimare una materia narrativa spigolosa e asimmetrica in una lucida dimensione
allegorica che vada oltre il mero trastullo autoreferenziale. Algido e
inespressivo come il suo protagonista (in tal senso la coraggiosa scelta di Robert
Pattinson è parsa pertinente), il film consegna la visione pessimistica che il
regista ha del mondo ad un estetismo glamour
che riesce appena a scalfire la patina della sua analisi cervellotica, finendo
per peccare dello stesso vizio che intende denunciare. Il cast di gran livello
è completato da Samantha Morton, Jay Baruchel, Paul Giamatti, Kevin Durand,
Juliette Binoche, Sarah Gadon e Mathieu Amalric. Tanti grandi nomi per una
pellicola segregata e irrisolta che sembra implodere nel suo stesso manierismo.
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