In
una villa della campagna toscana avviene l’incontro tra Edoardo e Carlotta,
marito e moglie, l’amico Ottone e la giovane Ottilia, nipote di Carlotta. Ben
presto le “affinità elettive” faranno scattare un incrocio di attrazioni con Edoardo
che si invaghisce di Ottilia e Carlotta di Ottone. L’eterna lotta tra ragione e
sentimento andrà nuovamente in scena e non senza conseguenze. Prezioso melodramma
“in costume” dei fratelli Taviani, che realizzano il loro lungometraggio n. 14
adattando il celebre romanzo omonimo di Johann Wolfgang von Goethe. Numerosi i
cambiamenti apportati dai registi toscani rispetto al testo ispiratore, a
cominciare dal luogo dell’azione, trasferito dalla Germania alla nativa Toscana,
e dal tempo degli accadimenti, che viene spostato in età napoleonica. Il
risultato dell’adattamento è un film visivamente imponente, stilisticamente
sontuoso, raffinato e freddo, luminoso e ricco, la cui patina barocca è
increspata dai sinuosi palpiti erotici di un romanticismo acerbo. Divise la
critica alla sua uscita (i detrattori ne attaccarono soprattutto l’eleganza
algida e “distante”), ma il lavoro compiuto dai registi è ammirevole, anche per
il sapiente riequilibrio dato ai quattro protagonisti rispetto al romanzo di Goethe,
che privilegia l’ottica di Ottilia nel suo carnale cupio dissolvi. Lo spazio scenico e quello emotivo tendono a
sovrapporsi nel gioco sottile delle “affinità elettive”, che viene
rappresentato in una dimensione eterea, un limbo sospeso fuori dal tempo in cui
lo scontro tra passione e raziocinio assume un simbolismo antico e pregiato, di
pittorica fascinazione. Eccellente il cast con Isabelle Huppert, Fabrizio
Bentivoglio, Jean-Hugues Anglade, Marie Gillain e Giancarlo Giannini voce
narrante. Numerose le sequenze memorabili: il funerale, la festa campestre,
l’epilogo con la piccola serva che sembra smarrirsi nel paesaggio avvolgente
della campagna toscana. Non è il miglior film dei Taviani ma resta un’opera di
grande fascino e da rivalutare.
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