Michele
Apicella è un giovane scontroso, problematico e integralista nelle posizioni
ideologiche. Trascorre le sue giornate tra cervellotiche discussioni con gli
amici, la complessa relazione con la fidanzata Silvia e una serie di
logorroiche elucubrazioni che lo portano a stravaganti sedute di autocoscienza
per risolvere i propri dissidi interiori. L’estate passata in città
nell’inerzia culmina con la decisione di andare a trovare Olga, ragazza
schizofrenica con gravi problemi psicologici. Ma alla fine, paradossalmente,
l’unico del gruppo che terrà fede all’impegno sarà il solo Michele, che
inizialmente era il più riluttante. Il primo vero lungometraggio di Nanni
Moretti (Io sono un autarchico del
1976 fu girato in un amatoriale super 8) è una commedia amara pervasa da
un’ironia sottile, in bilico tra tenerezza e disperazione, che traccia un
vivido ritratto (in perdita) di una generazione frustrata e sbandata: quella
dei ventenni appena usciti dal fallimento delle utopie sessantottine.
L’affresco del mondo giovanile della Roma degli “anni di piombo” è lucido e
impietoso e viene realizzato attraverso un lungo flusso di sequenze episodiche,
con dialoghi surreali e irresistibili che inducono il ghigno più che la risata
e aprono caustici scenari sullo smarrimento generazionale, sull’incapacità di
un dialogo realmente comunicativo e sulla naturale tendenza all’individualismo
che si esplica attraverso un grottesco campionario di tic e di manie. Limpido e
omogeneo nell’idea e nella struttura, nonostante l’assetto a “strisce”
narrative più o meno brevi, riscosse un notevole successo di pubblico
(incassando 2 miliardi a fronte del costo di 180 milioni di vecchie lire) e
divenne rapidamente il manifesto della poetica militante morettiana, portando
una ventata di fresca energia nel panorama del cinema italiano socialmente
impegnato. L’abilità del regista di Brunico di partire dalla dimensione
autobiografica per abbracciare poi un discorso collettivo, originale e rigoroso
nei suoi intenti politici e sociali, è già presente, a livello seminale, in questa
pellicola di culto profondamente amata da numerosi intellettuali della sinistra
del tempo. Il titolo deriva da un’espressione nonsense pronunciata da uno straccivendolo in una sequenza del film
e simboleggia la crisi d’identità di una generazione orfana dei propri sogni.
Nel cast, oltre a Nanni Moretti, Luisa Rossi, Glauco Mauri, Lorenza Ralli,
Fabio Traversa, Paolo Zaccagnini e Lina Sastri, compare anche un giovane Giampiero
Mughini. Presentato in concorso al 31° Festival di Cannes (dove non passò inosservato,
pur senza ricevere premi) inaugurò il solido feeling tra Moretti e la kermesse
francese e segnò la nascita della sua estetica politica, intimista, arguta e
antispettacolare.
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