Gavino
è un giovane pastore sardo vessato da un padre tiranno che lo ha strappato alla
scuola e lo ha escluso dalla società per tenerlo tra i monti a badare al gregge
di famiglia. Fino a vent’anni Gavino cresce isolato, analfabeta, incapace di
esprimersi in italiano perché conoscitore della sola lingua sarda. Grazie al
servizio militare il nostro riesce a lasciare la sua condizione di oppressione
forzata e diventa un uomo migliore: incontra altre persone, conosce nuove
mentalità, studia, si appassiona di storia delle lingue e riesce persino a
conseguire la licenza liceale. Al ritorno nel suo paese natio Gavino è
totalmente cambiato e lo scontro con il gretto patriarca sarà inevitabile. Capolavoro
dei fratelli Taviani tratto dall’omonimo romanzo autobiografico di Gavino
Ledda, oggi stimato scrittore e insigne studioso di linguistica, in cui il
protagonista racconta la sua triste vicenda giovanile sotto il giogo di un
padre rozzo, dispotico e ignorante. E’ il film più famoso dei registi toscani,
un’autentica pietra miliare della loro carriera e una delle migliori pellicole
prodotte dal cinema italiano negli anni ’70. E’ un’opera aspra, dura e lucida,
pregna della medesima bellezza selvaggia della terra di Sardegna, ruvida e
brutale, spazzata da un vento millenario che ne ha modellato le fiere asperità.
La violenza ideologica della pellicola è terribile ma la maestosa messa in
scena registica le conferisce la scarna nobiltà di un affresco arcaico, che guarda
al mitologico e stinge nel poetico. Il livello più interessante del film, che è
poi ciò che ha maggiormente interessato i Taviani del libro di Ledda, è quello
di crudo apologo sulla libertà individuale, sulla necessità di rompere il muro
del silenzio e di spezzare le catene di una rude tradizione atavica per opporsi
al potere autoritario. In tal senso è un’opera profondamente politica e ricolma
di significati universali che vanno al di là delle restrizioni territoriali e
linguistiche, e questo spiega il grande successo mondiale da essa conseguita.
Alla sua uscita ricevette generalmente larghi consensi, ma anche aspre critiche
da parte degli intellettuali sardi, che giudicarono il film grossolano, fasullo
e calunnioso per la raffigurazione data alla regione isolana. Leggenda vuole
che lo stesso Francesco Cossiga, all’epoca ministro dell’interno, dopo aver
visto la pellicola, disse adirato all’attore protagonista: “noi sardi i panni sporchi preferiamo lavarli
in famiglia. E siamo anche molto permalosi.”. Per quasi 30 anni Padre padrone è stato ufficiosamente osteggiato
in terra sarda, nonostante i registi abbiano più volte spiegato la loro
assoluta buona fede nel ritrarre una storia universale di schiavitù e di
libertà, un conflitto generazionale di mitologica fascinazione e di ferino
simbolismo, indipendente dall’ambientazione geografica e dal contesto sociale.
Lo stesso Ledda ha apprezzato profondamente il film, nonostante le non poche
differenze rispetto alla sua autobiografia scritta, ed ha sempre difeso
l’onestà intellettuale del lavoro dei registi. Sembra che oggi, finalmente, Padre padrone abbia goduto della
meritata rivalutazione anche presso il popolo sardo, dopo le tante polemiche
del passato, molte delle quali strumentali. Il film fu un grande successo di
pubblico e critica a livello mondiale, anche grazie al doppio premio ricevuto
al prestigioso Festival di Cannes (Palma d’Oro e Premio FIPRESCI), invero non
senza polemiche da parte dei francesi che comunque amarono molto la pellicola.
Fu decisiva, in tal senso, la posizione ferma di Roberto Rossellini, presidente
della giuria, che si dimostrò irremovibile nell’assegnazione del massimo premio
a Padre padrone, da lui ritenuto un
capolavoro degno della grande tradizione del Neorealismo italiano. Fu questa
l’ultima trasgressione del grande Maestro romano, che morì due mesi dopo. Infatti
non era mai accaduto, nella storia della celebre kermesse francese, che un film prodotto dalla televisione avesse
vinto il premio più ambito. Va infatti ricordato che, inizialmente, Padre padrone era nato come prodotto
televisivo prodotto dalla RAI e destinato ad essere trasmesso su Raidue, ma
poi, proprio per soddisfare la richiesta dei delegati francesi che lo volevano
in concorso a Cannes, fu “convertito” in formato cinematografico uscendo anche
nelle sale. Premiato due mesi dopo anche al Festival di Berlino (con l’Interfilm
Grand Prix), ebbe un’enorme cassa di risonanza e, nonostante le numerose
polemiche che lo accompagnarono, raggiunse un vasto successo internazionale facendo
stabilire incassi record al botteghino. Anche il suo primo passaggio televisivo
italiano, avvenuto nel novembre 1978, fece registrare numeri importanti in
termini di audience. Nel cast vanno
citati Omero Antonutti, straordinario nel ruolo del patriarca tiranno, Saverio
Marconi, ammirevole per la sua capacità di acquisire rapidamente l’accento
sardo essendo lui romano, e Marcella Michelangeli, nella parte della madre
succube. Da citare anche l’apparizione del vero Gavino Ledda, nel ruolo di sé
stesso, e di Nanni Moretti, nei panni del commilitone che invoglia Gavino allo
studio. Menzione speciale anche alla suggestiva colonna sonora di Egisto Macchi,
ricolma di fascino primordiale e di tetra maestosità espressiva. Padre padrone è un gioiello del nostro cinema,
un potente affresco realistico ricco di sequenze memorabili, opera di austera
intensità drammatica, di sontuoso impatto visivo e di acre malia sonora. Capace
di raggiungere una tragica bellezza poetica nei momenti di volo alto. Tra i
suoi numerosi ammiratori c’è anche il famoso regista Martin Scorsese, che si è
sempre dichiarato grande seguace di questo film dei fratelli Taviani.
Voto:
Nessun commento:
Posta un commento