lunedì 24 aprile 2017

La tigre e il dragone (Wòhǔ Cánglóng, 2000) di Ang Lee

Cina, 1779, al tempo della dinastia Ching: un invincibile monaco guerriero stanco di uccidere, una valorosa combattente di lui segretamente innamorata, una famigerata assassina conosciuta come "Volpe di Giada", un nobile bandito che vive nel deserto e una giovane ribelle figlia di un governatore che nasconde una vita segreta si incontrano e si affrontano per il possesso di una leggendaria spada indistruttibile chiamata "destino verde". Tra duelli a filo di lama, acrobazie volanti e arti marziali, ogni personaggio sembra avere un lato oscuro da celare. Affascinante e preziosa favola wuxia al femminile di Ang Lee, che torna con successo alle sue origini orientali dopo la lunga parentesi americana a fasi alterne. Liberamente tratto dal romanzo "Crouching Tiger, Hidden Dragon", quarto volume della smisurata raccolta di cinque libri "Crane-Iron Pentalogy" di Wang Du Lu, è una leggiadra contaminazione di generi, culture e ispirazioni diverse: fiaba, avventura, commedia farsesca, western, melodramma, wu-xian, romanzo ariostesco, mitologia cinese, filosofia taoista, pillole di confucianesimo. Anche dal punto di vista tecnico e grafico si tratta di un prodotto fortemente "contaminato": si passa infatti dai duelli volanti coreografati secondo i modelli del cinema d'azione di Hong Kong all'uso di tecnologie digitali tipicamente americane, con l'aggiunta di dialoghi serrati e movimenti dinamici che strizzano l'occhio all'action occidentale. Il tutto immerso in una dimensione paesaggistica soffusa, idilliaca e lunare, degna della migliore tradizione orientale. La grande notizia è che l'eclettico regista taiwanese riesce a tenere insieme con ammirevole coerenza un così complesso magma narrativo, senza mai sfociare nell'iperbole gratuita o nel ridicolo involontario, ottenendo un risultato visivamente strabiliante con una pellicola costata un'inezia rispetto agli standard hollywoodiani. I fans integralisti del cinema di Tsui Hark (di cui il nostro è parecchio debitore) hanno ovviamente storto il naso per l'evidente banalizzazione e commercializzazione dell'universo arti marziali di Hong Kong, ma va dato atto ad Ang Lee di essere riuscito a "cucinare" degnamente un "piatto" per tutti senza perdere troppo dei sapori originali. E' probabilmente il film più famoso dell'autore ed il suo maggior successo commerciale, che riscosse consensi unanimi presso la critica e il pubblico occidentale. Fece incetta di premi internazionali, tra cui quattro Oscar (miglior film straniero, fotografia, scenografia e colonna sonora) su ben dieci nomination, e per un po' tenne accesi i riflettori su un tipo di cinematografia solitamente di nicchia. La natura femminile dell'opera (le eroine sono preponderanti in numero e peso specifico) le conferisce un tocco di grazia di pregevole eleganza. Inutile dire che trattasi di una sorta di "Bignami" rispetto ai classici a cui fa riferimento, ma il coraggio e l'originalità dell'operazione sono indiscutibili, così come la sua capacità di coniugare armoniosamente poesia e violenza, acrobazie e bellezza, in una dimensione mitica di fiabesca sospensione.

Voto:
voto: 4/5

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