La
morte del padre, re Giorgio V, e la scandalosa abdicazione del fratello
maggiore Edoardo VIII, costringono il secondogenito duca di York principe
Albert, detto “Bertie”, a salire sul trono d’Inghilterra nel dicembre 1936 con
il nome di Giorgio VI, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Timido,
impacciato e affetto da un serio problema di balbuzie, “Bertie”, durante i
concitati eventi che porteranno alla sua incoronazione, si rivolge al bizzarro
logopedista australiano Lionel Logue per cercare di risolvere il suo spiacevole
problema verbale, evidentemente umiliante per il suo imminente ruolo di leader
carismatico che dovrebbe saper parlare degnamente alla nazione, per giunta in
un momento storico così delicato. Raffinato dramma storico biografico, scritto da
David Seidler (che dalla reale vicenda di Giorgio VI aveva già tratto un’opera
teatrale) e diretto con tocco rassicurante da Tom Hooper. Utilizzando sovente i
modi e il linguaggio della commedia, ma bilanciandoli con uno stile sobrio che
oscilla tra afflati epici e momenti intimi di malinconica tenerezza, è un elegante
film di attori sempre attento al senso della misura, sontuoso nell’apparato
figurativo e fedele alla formula della pellicola storica edificante
“acchiappa-premi”. In grande spolvero il cast con Colin Firth goffamente
tormentato, Geoffrey Rush istrionico sornione, Helena Bonham Carter di regale
determinazione e poi via via tutti gli altri grandi nomi quali Guy Pearce,
Timothy Spall, Michael Gambon, Derek Jacobi. Interessante il punto di vista
sotteso all’opera che vuole i Windsor come una holding più che una famiglia, con la conseguente necessità di
attingere al potere affabulatorio della fiera oratoria per mantenere il
consenso necessario alla preservazione del loro antico potere. I momenti più
riusciti sono quelli dello stravagante rapporto tra il re e l’eccentrico
logopedista, i cui metodi apparentemente poco ortodossi mirano a scardinare la
paura come vero fattore traumatico che causa la balbuzie nei soggetti più sensibili.
Decoroso e un po’ inamidato come molte pellicole britanniche a sfondo
monarchico, merita comunque ampiamente la visione per il suo classico senso
dell’equilibrio. Su dodici candidature agli Oscar 2011 ne vinse quattro
“pesanti”: miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale e
miglior attore protagonista all’intenso Colin Firth. E’ sicuramente da
preferire la visione in lingua originale per poter gustare appieno la brillante
performance di Firth, carica di sfumature e di sottigliezze non solo
linguistiche ma anche espressive e posturali. Lo stesso dicasi per il vulcanico
Geoffrey Rush, che qui riesce saggiamente a mettere una sensibile sordina alla
sua consueta enfasi teatrale.
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