martedì 18 aprile 2017

Il discorso del re (The King's Speech, 2010) di Tom Hooper

La morte del padre, re Giorgio V, e la scandalosa abdicazione del fratello maggiore Edoardo VIII, costringono il secondogenito duca di York principe Albert, detto “Bertie”, a salire sul trono d’Inghilterra nel dicembre 1936 con il nome di Giorgio VI, alla vigilia della seconda guerra mondiale. Timido, impacciato e affetto da un serio problema di balbuzie, “Bertie”, durante i concitati eventi che porteranno alla sua incoronazione, si rivolge al bizzarro logopedista australiano Lionel Logue per cercare di risolvere il suo spiacevole problema verbale, evidentemente umiliante per il suo imminente ruolo di leader carismatico che dovrebbe saper parlare degnamente alla nazione, per giunta in un momento storico così delicato. Raffinato dramma storico biografico, scritto da David Seidler (che dalla reale vicenda di Giorgio VI aveva già tratto un’opera teatrale) e diretto con tocco rassicurante da Tom Hooper. Utilizzando sovente i modi e il linguaggio della commedia, ma bilanciandoli con uno stile sobrio che oscilla tra afflati epici e momenti intimi di malinconica tenerezza, è un elegante film di attori sempre attento al senso della misura, sontuoso nell’apparato figurativo e fedele alla formula della pellicola storica edificante “acchiappa-premi”. In grande spolvero il cast con Colin Firth goffamente tormentato, Geoffrey Rush istrionico sornione, Helena Bonham Carter di regale determinazione e poi via via tutti gli altri grandi nomi quali Guy Pearce, Timothy Spall, Michael Gambon, Derek Jacobi. Interessante il punto di vista sotteso all’opera che vuole i Windsor come una holding più che una famiglia, con la conseguente necessità di attingere al potere affabulatorio della fiera oratoria per mantenere il consenso necessario alla preservazione del loro antico potere. I momenti più riusciti sono quelli dello stravagante rapporto tra il re e l’eccentrico logopedista, i cui metodi apparentemente poco ortodossi mirano a scardinare la paura come vero fattore traumatico che causa la balbuzie nei soggetti più sensibili. Decoroso e un po’ inamidato come molte pellicole britanniche a sfondo monarchico, merita comunque ampiamente la visione per il suo classico senso dell’equilibrio. Su dodici candidature agli Oscar 2011 ne vinse quattro “pesanti”: miglior film, miglior regia, migliore sceneggiatura originale e miglior attore protagonista all’intenso Colin Firth. E’ sicuramente da preferire la visione in lingua originale per poter gustare appieno la brillante performance di Firth, carica di sfumature e di sottigliezze non solo linguistiche ma anche espressive e posturali. Lo stesso dicasi per il vulcanico Geoffrey Rush, che qui riesce saggiamente a mettere una sensibile sordina alla sua consueta enfasi teatrale.

Voto:
voto: 3,5/5

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