martedì 1 novembre 2011

C'era una volta in America (Once Upon a Time in America, 1984) di Sergio Leone

Un capolavoro assoluto della cinematografia mondiale, un’opera mosaico epica, nostalgica e struggente, la summa della carriera del grande regista romano. Ispirato al racconto “The hoods” di Harry Gray, il film è un meraviglioso affresco di quarant’anni di vita e malavita di due ebrei newyorkesi, dal ghetto giudaico al mondo criminale organizzato del proibizionismo, dagli anni ’20 agli anni ’60. La pellicola ha una particolare ed affascinante struttura a puzzle di ricordi e procede attraverso numerosi salti temporali, nei quali si mescolano insieme passato e presente, amicizia ed amore, sogni e tradimenti, spiritualità e violenza; il tutto è magistralmente cementato da uno stile superbo ed impeccabile e da una magica atmosfera di sottile malinconia che pervade lo spettatore dall’inizio alla fine, anche grazie alla colonna sonora, probabilmente la migliore mai scritta dal geniale Maestro Ennio Morricone. Alla sua uscita il film divise notevolmente la critica e fu un autentico flop negli Stati Uniti, a causa di uno scellerato e delittuoso montaggio, che tagliò circa 90’ di pellicola e la propose in rigoroso ordine temporale, partendo cioè dal 1922 fino al 1968 in modo cronologico. Nel resto del mondo, invece, Sergio Leone riuscì ad imporre la sua versione di 220’ (e con l’utilizzo dei salti temporali) e le cose andarono decisamente meglio. Alla fine la pellicola ottenne un buon successo al box office, soprattutto in Europa, e negli anni è stata ampiamente rivalutata per quel capolavoro che è. Un film mito, lungo e solido, dalle atmosfere ammalianti, ricco di contenuti e sequenze memorabili, che offre moltissimi spunti e chiavi di lettura. Sarebbero davvero tanti i temi da approfondire in un’opera così opulenta e maestosa: su tutti, però, i principali sono il tempo, la nostalgia ed il sogno. Il tempo è il vero protagonista della storia, il tempo come un nemico spietato ed inesorabile che spazza via i miti e le speranza della giovinezza (tema non nuovo nel cinema di Leone). Il tempo che non può essere ingannato neanche con l’oppio, l’unica arma possibile sono i ricordi, da tenere stretti nel proprio animo, prezioso patrimonio da proteggere e preservare tenacemente. La nostalgia è il sentimento dominante della vicenda ed è quella del personaggio di Noodles: nostalgia per l’innocenza perduta di quei cinque ragazzini degli anni ’20, per i primi turbamenti sessuali consumati in uno squallido bagno comune, per il Cantico dei Cantici, per il batticuore di fronte ad una leggiadra ragazzina che ballava in un vecchio magazzino. Ma anche, e soprattutto, nostalgia per l’amicizia e per l’amore che sono stati portati via dallo scorrere del tempo, nostalgia per quello che avrebbe potuto essere e non è stato, un sottile senso di amarezza che resta dentro allo spettatore alla fine del film. Infine il sogno, inteso innanzi tutto come sogno americano, visto con lo sguardo cinico e disincantato di un cineasta italiano. Leone demitizza il sogno americano, così come aveva fatto in precedenza con l’epopea western, e ce lo mostra “nudo e crudo” in una miscela di speranze e tradimenti, dolcezza e brutalità, amore e morte, innocenza e cinismo. Ce lo mostra attraverso immagini ora violente ora intimistiche, attraverso la dilatazione a volte parossistica dei tempi (come dimenticare i 22 squilli di telefono o il cucchiaio che gira nella tazza da caffè per un intero minuto!) per esprimere al meglio il patos di certe situazioni, ma anche attraverso la sublimazione beffarda e sbeffeggiante delle illusioni perdute (forse sta in questo il senso di quel sorriso finale?). Anche i personaggi sono le diverse facce del sogno americano: Noodles è l’anarchico idealista, quello che crede nell’amicizia, quello che decide di stuprare la donna della sua vita per impedire a se stesso di poterla riavvicinare, quello che avrà sempre su di sé “la puzza della strada”. Max è invece il leader perfettamente integrato nella società americana, ferocemente ambizioso, disposto a rinnegare ogni cosa pur di raggiungere il potere, così come Deborah per il successo. Ma il sogno potrebbe anche essere il film stesso, un sogno indotto dall’oppio, secondo un’affascinante teoria sostenuta da alcuni e che lo stesso Leone non si è mai preso la briga né di smentire nè di confermare. Se, infatti, il presente del film è chiaramente il 1933 (anno della scena iniziale e finale), allora tutto quello che avviene nel futuro (il 1968) e, forse, anche quello che avviene nel passato, potrebbe essere frutto delle visioni prodotte dalla droga nella mente di Noodles. Che sia allora questo il vero motivo di quel famoso e beffardo sorriso finale ? Il grande Cinema d'Autore è, a volte, ambiguo ma anche in questo risiede la sua bellezza.

Voto:
voto: 5/5

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