martedì 1 novembre 2011

Taxi Driver (Taxi Driver, 1976) di Martin Scorsese

Il grande successo mondiale per Martin Scorsese arriva nel 1976 con “Taxi Driver”, unanimemente considerato il suo primo capolavoro. Premiato a Cannes con la Palma d’Oro ed osannato da critica e pubblico, il film entrò presto nell’immaginario collettivo per alcune memorabili sequenze (come dimenticare il monologo di Travis-De Niro allo specchio con quel “Ma dici a me ?”), divenendo un cult. E’ una storia ruvida e sordida di emarginazione, di violenza e di disperazione che scosse notevolmente le coscienze del tempo per i suoi forti contenuti e per il suo brutale realismo. Un grandissimo Robert De Niro interpreta Travis Bickle, un giovane disadattato e sociopatico, afflitto da insonnia e frustrazioni sessuali che, congedatosi dai marines, lavora come tassista notturno nelle strade di una New York, che ci viene mostrata come una pericolosa giungla urbana, tentacolare e psichedelica. Il mondo di Travis è un mondo di degrado, di alienazione e di solitudine, fatto da cinema a luci rosse e strade notturne e pericolose, dove la sua sola compagnia è quella fetta di umanità squallida e violenta che sale di notte sul suo taxi. Nella frase che spesso rivolge a se stesso (“Io sono nato per essere solo”) sta il senso più intimo e disperato della vicenda. Ma gli incontri con una prostituta minorenne (una convincente e giovanissima Jodie Foster) maltrattata da un protettore senza scrupoli e con la bella e sofisticata Betsy, assistente del senatore Palantine, fanno scattare qualcosa nell’animo di Travis, e la sua indolente apatia quotidiana si trasformerà in una violenta e rabbiosa reazione verso quelli che lui identifica come simboli di quel mondo che lo ha posto ai margini. Supportato da una fotografia livida e particolare e da una colonna sonora avvolgente, “Taxi Driver” è un film bellissimo, cupo, disperato, primitivo, dove il sangue e la violenza diventano l’unica forma di rivalsa in una società priva di valori e riferimenti, probabilmente ancora traumatizzata dal dopo Vietnam. Il film divenne subito, per molti giovani, il manifesto di una generazione confusa ed emarginata, l’incarnazione del suo disagio e della sua incapacità di collocazione di fronte ai rapidi mutamenti sociali, politici e culturali degli anni 70. Senza alcun dubbio è uno dei simboli cinematografici di quel periodo. Menzione speciale per le avvolgenti musiche del grande Bernard Herrmann che conferiscono uno stridente risalto alle fumose atmosfere del film.

Voto:
voto: 5/5

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