Sussurri e grida (Viskningar och rop) del 1972 è la summa delle tematiche tracciate nella luminosa carriera di Bergman, che qui sono sublimate dalla capacità di scandaglio psicologico e dalla rigenerata maestria formale dell’autore. E’ un’opera sontuosa, solenne, che contrappone (sin dal titolo) uno stile glaciale a dei contenuti drammatici ed intensi. Splendidamente fotografato da Sven Nykvist, è un’opera a mosaico, una sublime riflessione sul dolore, sulla morte, sulla pietà, sull’incomunicabilità e sulla grazia, priva però di ogni rimando religioso.
Malgrado uno stile asettico, freddo e cattedratico Bergman porta ai massimi livelli espressivi il suo lirismo, giocando sui contrasti, con l’utilizzo magistrale delle musiche e dei colori. Veramente memorabile l’uso dei colori: il rosso (la sofferenza e l’anima) a cui si contrappongono il bianco (l’innocenza) ed il nero (il lutto). Il film è interamente ambientato in una grande villa di Stoccolma, barocca e decadente, agli inizi del ‘900, tra le cui mura austere si svolge l’intera azione, formalmente ispirata al teatro di Strindberg. E’ la storia di due sorelle, rinchiuse nel loro egoismo e nelle loro nevrosi, incapaci di assistere la terza sorella, agonizzante e malata di cancro, compito invece assolto dalla devota e pia nutrice. Attraverso il drammatico confronto tra le quattro donne il regista svolge una nuova scrupolosa riflessione sulla complessità dell’animo umano e sugli abissi della psiche. E’ un film memorabile, di rara intensità lirico drammatica nonché un modello stilistico per il cinema a venire che ha fortemente influenzato tanto cinema d’Autore europeo (Almodovar, ad esempio). Straordinario nelle atmosfere, enormemente simbolico, contiene momenti indimenticabili, sempre costruiti sul gioco degli ossimori: il sussurro ed il grido, la pietà e l’indifferenza, l’amore e l’odio, la gioia ed il dolore, fino al finale agghiacciante che però si sublima in un ricordo meraviglioso, sereno, un idillio di poesia pura degna del suo grande autore.
Come sempre in Bergman la recitazione è straordinaria: Harriet Andersson ed Ingrid Thulin sono ai massimi artistici, mentre Liv Ullmann riesce quasi a bissare l’incredibile performance di “Persona” (1966), altro capolavoro bergmaniano. Ad un certo livello si può dire che “Sussurri e Grida” sia una sorta di completamento di “Persona”, con un cast raddoppiato nel numero, la medesima intensità drammatica, una superiore espressività cromatica ma un minor fascino ambiguo. Sicuramente mai nessun altro regista è riuscito a ritrarre le donne in questo modo, mettendone a nudo l’anima, le complessità, le debolezze e le mille sfaccettature. “Sussurri e Grida” è un capolavoro ma non è un film facile; come tutta la filmografia di Bergman richiede un certo impegno, ma se ne viene totalmente ripagati. D’altro canto siamo sulle vette più elevate del Cinema ed è quasi fisiologico che possa girare un po’ la testa, perchè il Cinema d’Arte non è mai semplice.
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