Straordinario capolavoro di Akira Kurosawa, che può sembrare (ad una lettura superficiale) un film giudiziario in costume, ambientato nel periodo Heian, età di oscurantismo e violenza della storia giapponese. Ma il grande regista orientale trascende l'iniziale spunto criminoso per mettere in scena un formidabile apologo sulla natura umana, sulla "necessità" naturale della menzogna e sul relativismo della verità. Con un funambolico esercizio di stile, che rende la narrazione a cerchi concentrici temporali, Kurosawa racconta la stessa storia (l'omicidio di un samurai e lo stupro della moglie) secondo i punti di vista differenti (e faziosi) di tre testimoni chiave. Ma porta questa estasi del caos e della menzogna su un livello ben più alto e addirittura meta-cinematografico, estendendo la sua amara riflessione al cinema stesso ed alla sua attitudine di ingannare" lo spettatore attraverso un meccanismo simile a quello che qui si intende denunciare. Insomma arte allo stato puro, come d'abitudine nei film del Maestro giapponese.
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