Dopo il successo del western “Vera Cruz” (1954), Robert Aldrich fonda una propria casa di produzione indipendente, la “Associates & Aldrich”, e realizza un B-movie a basso costo, ma talmente sfavillante d’ingegno da conquistarsi una straordinaria stima critica: si tratta di quello che per molti è il suo capolavoro assoluto, “Un bacio e una pistola” (“Kiss Me Deadly”, 1955), una delle vette del noir statunitense, un vero e proprio “tour de force” stilistico di tipo quasi sperimentale (titoli di testa che scorrono all’incontrario, riprese sbilenche, posizioni anomale della macchina da presa, vertiginose inquadrature dal basso o dall’alto, immagini fortemente contrastate o deformate dall’uso del grandangolo, chiaroscuri espressionistici, ecc.). Particolarmente violento per l’epoca, con punte di crudeltà mitigata in parte da tocchi di umorismo nero, il film richiama il cinema di Welles per la potenza delle immagini e l’inventività della regia. Tratto da un romanzo di Mickey Spillane, mette in scena un detective, il famoso Mike Hammer, che uguaglia e supera i delinquenti per spregiudicatezza e mancanza di scrupoli, e verso il quale l’occhio del regista è sarcastico e sprezzante come nei confronti di tutti i personaggi, nella loro esagitata lotta per un “oggetto” di cui non conoscono nemmeno la natura (si rivelerà alla fine una cassetta di materiale radioattivo, che riuscirà fatale per tutti). In verità il film non ha alcun successo in America e viene praticamente ignorato in Italia. Sono i soliti francesi dei “Cahiers du cinema” che, già entusiasti per “Vera Cruz”, restano folgorati da questa nuova opera, dichiarando Aldrich la rivelazione del 1955, e ponendo le basi del progressivo riconoscimento che ha fatto di “Un bacio e una pistola” uno dei “cult movies” per antonomasia.
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