martedì 1 novembre 2011

Persona (Persona, 1965) di Ingmar Bergman

Tra i tanti capolavori del Maestro svedese è, probabilmente, quello più ostico a causa della sua natura altamente sperimentale nella confezione estetica che, unita all'astrazione simbolica ed alla matrice psico-analitica, ne fanno uno dei massimi vertici del cinema d'avanguardia. Opera molto sentita da Bergman, che per concepirla si ritrasse in un lungo isolamento meditativo, Persona è un intenso dramma psicologico centrato su due soli personaggi, ancora due donne, una delle quali non parla mai. E' una famosa attrice (Liv Ulmann), bloccata in un silenzio inspiegabile ed assistita da un'infermiera (Bibi Andersson), che finirà soggiogata dalla personalità dell'altra. E' un film di alta maestria registica, una riflessione su temi complessi (già affrontati in forma meno ermetica ne Il volto) come quello dell'identità dell'attore, dell'antinomia tra persona e personaggio, del "mistero" del transfert artistico e della sua influenza sul pubblico. E' anche uno dei film più difficili di Bergman, che non offre spiegazioni ma si esibisce in una sorta di virtuosistica esercitazione, di grande rigore formale e ricca di stimoli (ci sono perfino richiami, assolutamente insoliti per il regista, alla cronaca e alla politica, oltre che soluzioni stilistiche di tipo sperimentale, come la pellicola che si blocca e sembra prendere fuoco). L'esplorazione bergmaniana della psiche femminile raggiunge qui il suo punto più alto, enigmatico, oscuro e, a suo modo, definitivo. Il film è chiaramente collegabile, per tematiche ed estetica, ad altri due capolavori degli anni '60: di Fellini e L'avventura di Antonioni, per quanto la pellicola di Bergman risulti ben più glaciale ed "asettica" nella sua rigorosa messa in scena. Da menzionare (come in tutti i film dell'autore) l'elevata densità tematica, le interpretazioni di altissimo livello e la qualità straordinaria della fotografia del fido Sven Nykvist.

Voto:
voto: 5/5

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