martedì 3 maggio 2016

I diari della motocicletta (Diarios de motocicleta, 2004) di Walter Salles

Il giovane Ernesto Guevara (prima di diventare il leggendario “el Che”) è uno studente di 23 anni iscritto alla facoltà di medicina di Buenos Aires. Inquieto e passionale, il nostro decide di intraprendere un avventuroso viaggio attraverso l’intero continente sud americano insieme al suo amico Alberto Granado. I due giovani ardimentosi faranno la prima parte del lungo viaggio in sella alla motocicletta di Granado, soprannominata “la Poderosa”, per poi proseguire a piedi e con mezzi di fortuna. Alla fine percorreranno circa tredicimila chilometri in otto mesi, passando per Machu Picchu e il lebbrosario di San Pablo, per poi giungere fino a Caracas. Durante questo viaggio attraverso le bellezze, la miseria, le ingiustizie e le contraddizioni dell’America latina, Guevara avrà modo di crescere e di avviare quel processo di maturazione politica e intellettuale che lo condurrà a diventare il più celebre rivoluzionario del pianeta, icona popolare e paladino degli oppressi. Suggestivo dramma biografico ispirato ai diari di viaggio “Latinoamericana (Notas de viaje)”, scritti dallo stesso Guevara, ed al racconto “Con el Che por America Latina” di Alberto Granado. Il regista Walter Salles cerca di analizzare le origini del mito attraverso immagini di grande forza evocativa, con il paesaggio autentico coprotagonista, la fiera durezza dei volti scavati dalla povertà e dalla fatica dei meticci latino americani e la bravura dei due attori protagonisti: un pensoso Gael García Bernal nei panni del “Che” e l’esuberante Rodrigo de la Serna, autentica sorpresa del film, in quelli di Granado. Senza dimenticare i canoni tipici del cinema hollywoodiano, l’autore mette in scena una pellicola più declamatoria che introspettiva, con una prima parte gioiosa e didascalica e una seconda più intensa e politica, che non nasconde la sua ambizione di racconto di formazione. L’arrivo a Machu Picchu è un momento magico ma la vera anima dell’opera risiede nel lungo segmento ambientato nel lebbrosario amazzonico, in cui Guevara apprende la dolorosa lezione secondo cui solo toccando con mano l’altrui sofferenza è possibile parlare di comprensione, di condivisione e di progetto ideologico. Coinvolgente e furbo, appassionato e meditabondo, questo film gitano e polveroso ha la tensione del romanzo morale e l’incanto dell’epopea picaresca, e mira ad equiparare la crescita politica con quella sentimentale, evitando le tentazioni dell’agiografia. Ha vinto il premio Oscar per la miglior canzone: “Al otro lado del río” di Jorge Drexler.

Voto:
voto: 3,5/5

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