Fox è un povero sottoproletario che vince
mezzo milione di marchi alla lotteria e vede così cambiare radicalmente la sua
vita. Eugen è un giovane borghese figlio di un industriale sull’orlo del
fallimento. I due s’incontrano e si amano con grande passione, ma il secondo
sfrutta il primo per estorcergli il denaro vinto. Splendido melodramma glaciale
di Fassbinder, la cui tematica omosessuale è soltanto la patina esterna di uno
spietato apologo politico sul tema dello sfruttamento capitalistico e delle sue
dinamiche coercitive, attraverso cui il potere economico stabilisce il suo infausto
dominio utilizzando l’espropriazione. Il film è ambientato nel mondo gay della
Monaco anni ’70, perfettamente conosciuto dall’autore, verso cui egli si
dimostra radicalmente critico, accusandolo apertamente di connivenza rispetto a
quel meccanismo di violenta intolleranza che tende a ghettizzarlo. Questa
connivenza avviene, secondo Fassbinder, grazie al conformismo e all’ipocrisia
dei tanti gay che si comportano da borghesi, dimostrando così complicità con quelle
classi sociali “benpensanti” che utilizzano il loro potere economico per diffondere
la cultura della discriminazione e dell’omofobia. Questa scelta di campo,
indubbiamente polemica e coraggiosa, produsse numerose invettive contro il
regista da parte della stessa comunità gay a cui egli apparteneva. Questo
lucido e disperato capolavoro, sospeso tra Marx e Freud, prosegue la rigorosa
analisi dell’autore sull’ambiguo rapporto tra vittima e carnefice, oppressore e
oppresso, dimostrando come i ruoli siano spesso ben più sfumati e indefinibili
di quanto potrebbe apparire ad una lettura superficiale. All’apice del suo
masochismo Fassbinder sceglie anche di interpretare il personaggio di Fox, una
“vittima” che sarà però ampiamente responsabile del proprio fallimento per
mezzo delle sue azioni scellerate, di cui il furbo Eugen saprà approfittare. La
rappresentazione fornita della Germania anni ’70, superficiale ostentatrice del
proprio benessere economico ma culturalmente povera, moralmente turpe e
ideologicamente rozza, è impietosa, così come è agghiacciante l’affresco della
borghesia che si identifica totalmente con i propri status symbol materiali, al punto da essere ciò che possiede e da
divenire ciò che pavoneggia. Ancora una volta gli elementi scenografici sono
parte essenziale del racconto, il décor
viene eletto a principale significante e gli ambienti sono lo specchio
rivelatore di quello che accadrà, a volte in maniera distorta o invertita. Il diritto del più forte è, senza dubbio,
uno dei più perfidi e taglienti manifesti sul kitsch della borghesia che siano mai stati realizzati per il grande
schermo e uno dei film più riusciti del grande autore bavarese.
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