venerdì 6 maggio 2016

Il diritto del più forte (Faustrecht der Freiheit, 1974) di Rainer Werner Fassbinder

Fox è un povero sottoproletario che vince mezzo milione di marchi alla lotteria e vede così cambiare radicalmente la sua vita. Eugen è un giovane borghese figlio di un industriale sull’orlo del fallimento. I due s’incontrano e si amano con grande passione, ma il secondo sfrutta il primo per estorcergli il denaro vinto. Splendido melodramma glaciale di Fassbinder, la cui tematica omosessuale è soltanto la patina esterna di uno spietato apologo politico sul tema dello sfruttamento capitalistico e delle sue dinamiche coercitive, attraverso cui il potere economico stabilisce il suo infausto dominio utilizzando l’espropriazione. Il film è ambientato nel mondo gay della Monaco anni ’70, perfettamente conosciuto dall’autore, verso cui egli si dimostra radicalmente critico, accusandolo apertamente di connivenza rispetto a quel meccanismo di violenta intolleranza che tende a ghettizzarlo. Questa connivenza avviene, secondo Fassbinder, grazie al conformismo e all’ipocrisia dei tanti gay che si comportano da borghesi, dimostrando così complicità con quelle classi sociali “benpensanti” che utilizzano il loro potere economico per diffondere la cultura della discriminazione e dell’omofobia. Questa scelta di campo, indubbiamente polemica e coraggiosa, produsse numerose invettive contro il regista da parte della stessa comunità gay a cui egli apparteneva. Questo lucido e disperato capolavoro, sospeso tra Marx e Freud, prosegue la rigorosa analisi dell’autore sull’ambiguo rapporto tra vittima e carnefice, oppressore e oppresso, dimostrando come i ruoli siano spesso ben più sfumati e indefinibili di quanto potrebbe apparire ad una lettura superficiale. All’apice del suo masochismo Fassbinder sceglie anche di interpretare il personaggio di Fox, una “vittima” che sarà però ampiamente responsabile del proprio fallimento per mezzo delle sue azioni scellerate, di cui il furbo Eugen saprà approfittare. La rappresentazione fornita della Germania anni ’70, superficiale ostentatrice del proprio benessere economico ma culturalmente povera, moralmente turpe e ideologicamente rozza, è impietosa, così come è agghiacciante l’affresco della borghesia che si identifica totalmente con i propri status symbol materiali, al punto da essere ciò che possiede e da divenire ciò che pavoneggia. Ancora una volta gli elementi scenografici sono parte essenziale del racconto, il décor viene eletto a principale significante e gli ambienti sono lo specchio rivelatore di quello che accadrà, a volte in maniera distorta o invertita. Il diritto del più forte è, senza dubbio, uno dei più perfidi e taglienti manifesti sul kitsch della borghesia che siano mai stati realizzati per il grande schermo e uno dei film più riusciti del grande autore bavarese.

Voto:
voto: 4,5/5

Nessun commento:

Posta un commento