lunedì 9 maggio 2016

Querelle de Brest (Querelle, 1982) di Rainer Werner Fassbinder

Querelle è un marinaio imbarcato sulla nave “Vangeur” che sbarca a Brest e si avventura in un sordido percorso nei bassifondi della città portuale alla ricerca di sé stesso. Tra bordelli, ladri, rapporti omosessuali, droga, omicidi e prostitute, Querelle finisce per tornare sulla nave, dove si concede sessualmente al suo capitano, da sempre invaghito di lui. L’ultimo film di Fassbinder (che morirà per overdose di stupefacenti poco dopo averlo ultimato), tratto dal romanzo omonimo di Jean Genêt, è un cupo dramma antirealistico immerso in un’estetica onirica di allucinata potenza visiva e di straniante malia torbida. Interamente girato in un teatro di posa, si compiace dell’utilizzo “osceno” di scenografie barocche, di orpelli manieristici di evidente simbologia fallica, di una fotografia cromaticamente saturata che vira nel rosso e di un’enfasi spudoratamente compiaciuta, la cui freddezza evoca la morte. L’ultima coraggiosa riflessione del genio bavarese è potente, sfacciata, estrema, pessimista e ci consegna l’atto conclusivo della sua lunga galleria di ritratti dedicati al lato oscuro di un’umanità sadica e alienata. Il testamento artistico di Fassbinder è un film “maledetto” e nichilista, un’opera controversa e scandalosa che, inevitabilmente, divise la critica e spiazzò il pubblico. Fu bersagliato dalla censura per le forti sequenze erotiche di natura omosessuale, soprattutto in Italia, dove uscì col massimo divieto e con pesanti tagli. Come al solito il tempo ne ha rivalutato lo status artistico, facendolo divenire per molti un cult della cinematografia underground (per i fans del regista lo è stato fin da subito), ma lasciando aperta la controversia tra i critici sul dibattito capolavoro si o capolavoro no. Rispetto alla filmografia dell'autore il film sposta l'ambientazione dalla Germania a un universo immaginario (solo nominalmente riferito alla città portuale francese), un mondo artificiale e artificioso, illuminato da fasci di luce colorata e denso di dettagli apertamente surreali e sottilmente simbolici. Dal punto di vista contenutistico l’autore resta invece ancorato alle sue tematiche classiche (i rapporti di sopraffazione tra gli esseri umani con messa a fuoco delle dinamiche sadomasochiste), esaminandole con l’occhio rigoroso di uno scienziato che riproduce un esperimento in laboratorio e riportandone le implicazioni psicologiche con la pedanteria di un filologo. Bandendo i sentimenti in favore delle pulsioni più brutali e primitive, legate al desiderio della carne, il regista ci immerge in una realtà di forte valenza tragica scegliendo di sospenderla in un’atmosfera onirica al confine tra il delirio erotico e la provocazione sarcastica. Decadente e nevrotico, sprezzante nel suo estetismo virile, brechtiano nei suoi intermezzi colti che spezzano il fluire visionario delle crude immagini, il film contiene l’essenza più intima dell’arte di Fassbinder, sospesa tra genio e perdizione. Il suo unico vero limite consiste, probabilmente, nella feroce seriosità metaforica e nella totale mancanza di quell’impalpabile ironia che, in molte opere dell’autore bavarese, faceva da indicatore della poesia intrinseca alle immagini. Nel cast ricordiamo la presenza di Brad Davis, Franco Nero, Jeanne Moreau e Laurent Malet. La pellicola fu presentata in anteprima al Festival del Cinema di Venezia del 1982, subito dopo la morte del regista. Il presidente della giuria, Marcel Carné, la reputò un capolavoro e si batté con tutte le sue forze per vedergli attribuire il Leone d’oro, che invece fu vinto da un altro film tedesco: Lo stato delle cose di Wim Wenders.

Voto:
voto: 4,5/5

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