martedì 17 maggio 2016

La Cinese (La chinoise, 1967) di Jean-Luc Godard

Nell’estate parigina del 1967 un gruppo di giovani militanti comunisti francesi, guidati dalla carismatica Véronique, si chiudono per giorni in un appartamento per studiare la dottrina marxista di Mao Tse-tung e preparare la rivoluzione. Complice l’assenza dei genitori, partiti per le vacanze, i ragazzi elaborano un piano per assassinare un ministro sovietico in visita nella capitale francese, compiendo così il primo passo di una lunga marcia sociale. Sontuoso dramma politico di Godard, ispirato al romanzo “La cospirazione” di Paul Nizan, impeccabile nella costruzione, sperimentale nella forma, fedele nel saper cogliere perfettamente lo spirito dei tempi e lungimirante nell’anticipazione di quell’esplosione utopistico rivoluzionaria che avrà luogo l’anno dopo, infiammando gli animi dei giovani sessantottini e investendo l’Europa con un vento di passioni ideologiche e di cambiamenti sociali. Originale e appassionato, il film procede tra Ejzenštejn e Brecht per declinare il suo messaggio politico, attingendo a tutte le tematiche in voga dei suoi tempi: la rivoluzione culturale maoista, il libro rosso, la guerra in Vietnam, i fermenti giovanili che poi sfoceranno nel “maggio francese”, negli scontri di piazza, nelle occupazioni scolastiche e nella lotta armata. E’ un’opera fondamentale nel percorso artistico del Maestro francese, che qui dà sfogo a tutto il suo estro di sperimentatore creativo inteso a generare un’evidente frattura con la tradizione precedente. Il montaggio frenetico, lo straniamento brechtiano indotto dall’accostamento, nella stessa scena, tra elementi di fiction (gli attori che recitano) ed elementi reali (l’operatore che li riprende), la continua esibizione delle icone contemporanee, mirano a reinventare la sintassi cinematografica attuando, artisticamente, la medesima rivoluzione perseguita dai personaggi. La fotografia saturata che vira nel rosso stabilisce un’evidente sovrapposizione tra la forma estetica e il contenuto politico, tra le pagine del libro rosso e le scene del film, in cui lo svelamento dell’artificio recitativo rappresenta un geniale tentativo di staticizzazione artistica dell’immagine. La messa in scena operata da Godard è volutamente leggera, con graffi satirici e tocchi di ironia nera che ne riscattano l’impianto verboso, da alcuni giudicato eccessivo e ridondante. Nel cast spicca la ventenne Anne Wiazemsky nei panni di Véronique, che di lì a poco sarebbe divenuta moglie del regista. Il finale ciclico, con il ritorno al punto di partenza e la fine dell’estate velata di malinconia, sembra già sottintendere il successivo fallimento delle utopie sessantottine e il grottesco imborghesimento dei protagonisti sopravvissuti. Come spesso accade nel cinema i grandi autori hanno una capacità visionaria così alta e oculata da risultare addirittura profetici.

Voto:
voto: 4,5/5

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